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il Premio Nobel a Dylan non è veramente un premio alla letteratura. È un premio alla poesia come forma di vita più che un premio alla pagina scritta. Il Dylan degli inizi, quello delle canzoni di denuncia, di “Masters of War” e di “The Times They Are A-Changin’”, era stato spesso paragonato a un Auden, appunto, “di strada”. E a metà degli anni Sessanta, quando infuriavano le polemiche sul passaggio di Dylan dal folk al rock, ci aveva pensato Allen Ginsberg a dire che Dylan aveva portato la poesia nei juke-box, e che questa era la missione che gli aveva assegnato Dio. Oggi i juke box non ci sono più, c’è youtube, ma Dylan cammina ancora e camminano i suoi versi, “cammino per strade che sono morte” (“I am walking through streets that are dead”), “non parlo, cammino soltanto” (“ain’t talkin’, just walkin’”), “un’altra tazza di caffè prima di riprendere il cammino” (“one more cup of coffee for the road”). Osip Mandel’stam diceva che nei versi di Dante si sente tutto il gran camminare che il poeta aveva fatto in giro per i sentieri e le montagne d’Italia,. Dylan ha consumato parecchi stivali da cowboy prima che gli autobus che lo portano da un concerto all’altro facessero la strada per lui, ma in realtà non ha mai smesso di camminare. Nel 1988 ha inizio il‘ Neverending tour’, con il quale decide che ogni anno, fin quando le forze l’avrebbero retto, avrebbe vissuto almeno cento giorni sulla strada, dando concerti ovunque, nei grandi stadi come in piccole città di provincia, nei teatri come nei rodei, in qualunque parte del mondo lo volessero, per star zitto lui e far parlare solo e unicamente le sue canzoni, le canzoni che l’hanno formato o le canzoni che voleva far resuscitare dall’oblio. Il solo’ Neverending tour’comprende fino ad oggi 1802 concerti. In totale, dal suo esordio nel 1961 ne ha tenuti oltre 4.000 ed ha scritto 502 canzoni.