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Filippo Coliandro, denunciare l’andrangheta si può

17.11.2016 09:11

 

Nel ‘96 apre un suo locale, L’Accademia, 12 coperti. A fare il cuoco non ci pensa: in cucina c’è Gaetano, informatore scientifico in pensione, cuoco per passione.Una sera in cui Gaetano non è disponibile, Filippo, suo aiuto in cucina, prova a sostituirlo e gli si apre un universo: i suoi piatti piacevano! Si innamora di quel mestiere, studia, sbaglia, riprova, impara; i coperti diventano quaranta. Nel 2003 si sposta sul lungomare. Le cose gli vanno bene. E, purtroppo, si vede. A fine 2008 due clienti gli fanno visita per dirgli che la tranquillità è un bene prezioso e se ne possono occupare loro: in zona fanno tutti così, dicono, non si tratta di scadenze pressanti o cifre prestabilite.Gli raccomandano di non denunciare, ma gli consigliano di parlarne con i suoi fratelli, titolari della stazione di servizio, diventata ormai anche bar, tavola calda, officina, con una quindicina di collaboratori. «Usavano me per chiedere il pizzo anche all’altro ramo aziendale della famiglia! Parlai ai miei fratelli. Ripiombammo in quelle cene con le telefonate a mio padre. Dissi che volevo denunciare. Furono d’accordo e presi coraggio. Con le forze dell’ordine non fu facile: il mio comportamento era anomalo, non solo e non tanto per la denuncia in sé, ma perché l’avevo fatta all’indomani della “visita”. Di solito si denuncia quando le richieste diventano esose o troppo pressanti, prima si prova a pagare. Mi chiedevano da quanto pagavo, io rispondevo che me lo avevano chiesto il giorno prima e non ci capivamo. Poi il prefetto Musolino si ricordò di mio padre e comprese che denunciare immediatamente una richiesta di estorsione era coerente con la storia della mia famiglia: misero sotto controllo il locale e in una settimana arrestarono uno dei due».

 

 

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