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Nel 1971 fu approvata la legge nazionale sui nidi d’infanzia, che li trasformò da luoghi assistenziali nel primo gradino della scala educativa. Sono ancora i più belli del mondo, come li definì Newsweek negli anni Novanta. E non soltanto a Reggio Emilia. Ma in Toscana, in Umbria, in Veneto, in Lombardia. Architetture all’avanguardia, eco-capolavori, mini campus di giochi e scoperte dove crescere sembra un’avventura speciale. Eppure gli asili nido italiani sono in crisi. Un’eccellenza che si va sgretolando. Posti vuoti, rette altissime, Comuni in affanno, famiglie con i redditi dimezzati, madri disoccupate, e per la prima volta negli ambitissimi nidi del Centro-Nord le liste d’attesa non ci sono più. I bambini cioè restano a casa.. Iscrizioni in calo del 4%, come aveva già segnalato l’Istat nel 2013, non era mai accaduto dal 1971. Ma la discesa è continuata: nel 2015 a Roma le iscrizioni sono calate di 1.500 bambini, la “mitica” Reggio Emilia ha segnato una discesa del 4,3%, e lo stesso è accaduto a Venezia, Mantova, Trieste, Firenze. Una conversione a U, in controtendenza con l’Europa, e contro tutti gli studi più recenti, che raccontano quanto frequentare un buon nido nei primi mille giorni di vita sia garanzia, poi, di maggiori capacità e relazioni nella crescita.