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Il Consiglio d’Europa ancora una volta ci boccia, accusandoci di non rispettare i diritti delle donne che scelgono di interrompere una gravidanza. La critica mette il dito sulla piaga dell’obiezione di coscienza dei medici. La legge 194 è una legge civilmente avanzata, che si basa su un prologo di civiltà: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio». Nella progettualità della 194, le donne dovevano essere allontanate dall’ipotesi di interrompere una gravidanza, tramite programmi di educazione e informazione che, per mezzo dei consultori, tendessero ad eliminare le cause che trascinano la donna nel baratro dell’aborto. Purtroppo questa azione preventiva non è mai stata realizzata e lo spirito della legge in questi anni è stato in parte tradito. Ma alcuni risultati positivi ci sono stati: è drasticamente diminuita la mortalità causata dall’aborto ed è anche diminuito il numero degli aborti stessi. l’aborto è un male, ma l’aborto clandestino è un male ancora peggiore, che aggiunge al dramma di un’interruzione di gravidanza, anche un rischio enorme per la vita della donna. Le donne italiane hanno dunque conquistato nel 1978 il diritto di abortire legalmente in ambiente ospedaliero, tutelate dallo Stato, e io credo che sia molto grave negare loro la possibilità di esercitare questo diritto, appellandosi alla coscienza individuale di medici e infermieri. L’obiezione di coscienza è accettabile in linea di principio, ma deve essere un’eccezione e non la regola. Occorre garantire l’esercizio del diritto delle donne negli ospedali italiani.