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da Storie del Novecento, una famiglia triestina racconta

13.08.2016 00:15

 Caro Papà,in questo mio diario di notizie quotidiane non poteva mancare la data della tua nascita, 13 agosto 1900. Tuo padre , un modesto calzolaio, nel 1919, volle mandarti a Torino e iscriverti  all’Università per studiare ingegneria chimica. Per un giovane socialista Torino era la città più accogliente, perché molte famiglie offrivano gratuitamente l’ospitalità ai giovani compagni che venivano da lontano per studiare. Lì frequentasti la redazione de l’Ordine Nuovo, il settimanale fondato da Antonio Gramsci, Ti aspettava un futuro ricco di stimolanti prospettive .  Quando avevi già superato metà degli studi e avevi ormai eletto Torino come scelta di vita, una sera di  maggio del 1922, ti giunse il terribile telegramma della mamma ‘ Papà aggredito dai fascisti all’uscita dal Consiglio Comunale, ritorna subito’ Il nonno, primo consigliere comunale comunista a Trieste, era all’ospedale,  piantonato da due carabinieri , versava in gravi condizioni per un colpo di pistola al ventre e numerose bastonate su tutto il corpo. Morì due settimane dopo  e tu dovesti restare a Trieste per fare da capofamiglia , con la mamma e i due fratelli di 17 e 12 anni. Dopo pochi anni i fratelli terminarono gli studi secondari e tu, contabile alle Cooperative Operaie, ma anche vicedirettore del Lavoratore e dirigente comunista fosti costantemente perseguitato ( per 2 o 3 giorni in prigione ogni volta che veniva a Trieste Mussolini) e poi  mandato nel 1929 al confino nell’isola di Ponza. Qui sposasti la tua Lydia ed io conservo , inquadrata davanti a me,  la copia del certificato di nozze, il 10  ottobre 1930. Dopo il confino iniziò la tua vita da funzionario della direzione del PCI all’estero che aveva sede a Parigi. Mio fratello aveva un anno ed io nacqui 4 anni dopo, nel 1937. Allo scoppio della guerra, cui seguì, un anno dopo, l’occupazione di Parigi, da Mosca era giunto l’ordine per tutti i dirigenti del PCI di riparare con la famiglia in Unione Sovietica.  Mio padre rifiutò e iniziò per noi una vita da clandestini da un  paese all’altro della Francia occupata, facendo i mestieri più duri, bracciante agricolo, operaio manovale, pur di tenere insieme la famiglia e qualche contatto con l’Italia. Nell’autunno 1944, ci lasciasti a Parigi, per affrontare con un gruppetto di compagni guidati da alcuni contrabbandieri, la traversata a piedi delle Alpi  fino in Piemonte, da dove raggiungesti Trieste, per incominciare la battaglia più dolorosa, quella di difendere l’italianità di Trieste nel governo provvisorio della Venezia Giulia ( maggio-giugno del 1945) dove la maggioranza del Partito Comunista era schierata con gli occupanti, l’esercito di liberazione yugoslavo guidato dal comandanteTito.  La tua opposizione contribuì  alla stipula del patto della cosidetta linea Morgan che divideva il territorio di Trieste in zona A ( Trieste e Muggia), sotto tutela degli angloamericani e zona B , sotto tutela yugoslava. Nell’agosto 1945 ritornasti a Parigi per ricondurci tutti a Trieste. Papà, avevi vinto, ma avevi rotto i ponti con il PCI che a Roma si era disinteressato della questione di Trieste, delegando le decisioni alla dirigenza locale schierata con la Yugoslavia. Così ebbe termine la tua carriera politica e tornasti a fare il contabile. E’ una storia complessa, ancora da raccontare quella dei 42 giorni della Repubblica Popolare Giuliana  (1 maggio-12 giugno 1945). Le tue scelte , caro Papà, mi hanno fatto capire più di qualsiasi manuale, che cosa è l’ETICA. Grazie.

 

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