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Dall'articolo di Massimo Giannini su Repubblica
Tanti anni fa Josè Donoso scrisse un magnifico romanzo sul suo Cile: “La disperanza”. Oggi la disperanza è lo stato d'animo prevalente di tanti italiani, cioè la condizione esistenziale e morale di chi ha già varcato i confini del disincanto ma non ha ancora raggiunto quelli della disperazione. È un pezzo d’Italia che vale il 50%, non si fida più della politica e dubita della sua utilità. In Emilia ha votato il 37%, a Roma e Napoli il 50 e il 37, in Sicilia e a Ostia il 46 e il 33.
Questa Italia si comporta oggi come Donoso diceva nell’87: «Tutto quello che puoi fare è il piccolo, inglorioso lavoro di sopravvivere, in attesa di un cambiamento” che non arriva mai. Mezzo Paese diserta le urne: è a questa “Italia della disperanza” che la politica dovrebbe riprovare a parlare. M5S ha esaurito il suo potenziale, a Ostia e in Sicilia raddoppia i consensi ma non drena voti dall’astensionismo. Di Maio ci prova con le solite pezze a colori, Anche Berlusconi ci prova con le solite tele-vendite, a metà strada tra Mastrota e Peron: “Via bollo auto e tasse su casa e successione”, pensioni minime a 1000 euro e per gli anziani “cure dentistiche e oculistiche, veterinario gratuito e niente Iva sul cibo per i cani”. Alla faccia della “rivoluzione liberale”.
Ancora una volta toccherebbe alla sinistra ridare fiducia all’ “Italia della disperanza”. Renzi alla Leopolda ha fatto un passo verso il partito-squadra. Ma il cammino è ancora incerto. L’ingovernabilità è un lusso istituzionale: la Germania se lo può permettere per un anno, l’Italia neanche per una settimana. La “disperanza” è un virus democratico: il Sudamerica lo sopporta da un secolo, la sinistra non dovrebbe tollerarlo neanche per un giorno.