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2. La mitezza perduta della politica ( settimana dal 27 novembre al 3 dicembre)

30.11.2017 18:16

lettera di un insegnante a Corrado Augias

Caro Augias, a proposito di temi eterni come il razzismo, l’amicizia, la pietas, sarebbe utile se nelle scuole un insegnante o ancor meglio il dirigente scolastico dicessero questa poesia, dal titolo “ Gli amici”: Cari Amici, qui dico amici/ Nel senso vasto della parola;/ Moglie, sorella, sodali, parenti,/ Compagne e compagni di scuola,/ Persone viste una volta sola/ O praticate tutta la vita:/ Purché fra noi, per almeno un momento,/ Sia stato teso un segmento,/ Una corda ben definita./// Dico per voi, compagni d’un cammino/ Folto, non privo di fatica,/ E per voi pure, che avete perduto/ L’anima, l’animo, la voglia di vita./ O nessuno, o qualcuno, o forse un solo, o tu/ Che mi leggi: ricorda il tempo,/ Prima che s’indurisse la cera,/ Quando ognuno era come un sigillo,/ Di noi ciascuno reca l’impronta/ Dell’amico incontrato per via;/ In ognuno la traccia di ognuno,/ Per il bene od il male/ In saggezza o in follia/ Ognuno stampato da ognuno./// Ora che il tempo urge da presso,/ Che le imprese sono finite,/ A voi tutti l’augurio sommesso/ Che l’autunno sia lungo e mite.

Suppongo che lei la conosca e ben ne conosca l’Autore.

Risposta di Corrado Augias

Primo Levi scrisse questi versi alla fine del 1985, due anni prima della sua tragica fine. Già allora mi colpirono i seguenti: «Ricorda il tempo/prima che s’indurisse la cera/ quando ognuno era come un sigillo » . Un tempo cioè disposto ad accogliere l’altro. Purtroppo, credo che non ci sia mai stato. Più che un richiamo al passato, era un’invocazione, Levi sapeva bene che la durezza ha sempre segnato i tempi, mitigata appena da qualche utopico richiamo alla tolleranza, oggi così fievole. Non era religioso, anzi si definì “ Il non credente”; condivideva con il filosofo Hans Jonas l’idea che la stessa esistenza di un inferno in terra come Auschwitz smentisse quella di un dio.

Col passar degli anni, attenuata la memoria viva dell’orrore, durezza, antisemitismo e cattiveria hanno proliferato per cui oggi sarebbe ancora più necessario diffondere lo spirito di quei versi. Il suono, l’eco, di quelle parole — forse — gioverebbe. Levi invocava la mitezza che è una costante aspirazione dell’animo ebraico quando non sia ottenebrata dalla politica. Esistono ruoli che comportano necessariamente una certa dose d’aggressività e tra questi c’è la politica, nobilissimo esercizio che dovrebbe sostituire all’uso ferino della forza la trattativa. In politica, però, anche quando non ci sia diffusione di sangue resta la necessità di «essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi » , come ammoniva ser Niccolò. Ho ritrovato la stessa ricerca di mite ragionevolezza dei versi di Levi nelle pagine di Amos Oz, credo il maggiore scrittore israeliano di oggi. Ne aveva scritto nel 2004 ( Contro il fanatismo) torna a scriverne ora, Cari fanatici (Feltrinelli), un libro che racchiude tre saggi nei quali la mitezza viene analizzata — mi verrebbe anche da dire predicata — sia in generale sia in relazione ai tragici fatti di questi ultumi anni.

 

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