per l'etica laica, sociale e autodeterminata
Indice
Parte prima: il grande v
iaggio
Parte seconda : l’incontro e la svolta
13. L’incontro
15 Un borgo di montagna
16. La lingua italiana
17 .La scuola guida
18 Il calcio
19 I documenti
20 La ricerca del lavoro
21 Un lavoro vero
22 Ritorno a casa
23 Il matrimonio
24 I miei ragazzi
Epilogo
Questa è la storia di due persone , Demba di 21 anni e Giorgio di 82,dal 2012 al 2019. Ciascuno dei due protagonisti racconta in prima persona. Demba il viaggio tormentato da Sare Baktar nel Senegal a Sarteano, Giorgio l’ incontro con Demba e la svolta nella vita di entrambi.
Le dolorose storie dei giovani immigrati dall’Africa sono decine di migliaia, ma sono poche quelle a lieto fine.
I giovani africani attraversano prima l’Africa occidentale per oltre 5.000 km, molti muoiono di stenti o di rapine. Tripoli è la loro meta, dove cadono nelle mani delle organizzazioni criminali che gestiscono i flussi della traversata del Mediterraneo fino in Sicilia o Calabria.
Giorgio e Demba hanno deciso di scrivere questa storia a lieto fine, perché i lettori sappiano ‘ se incontrate un ragazzo nero per la strada, fermatevi, avete l’occasione di cambiare la vostra vita’
Alcuni amici chiedono a Giorgio: perché ti occupi di questi ragazzi, gli attribuiscono l’aureola del benefattore. A tutti Giorgio risponde ‘lungi dall’essere in credito verso questi ragazzi, sono in debito, perché mi ripagano con sincero affetto, mi chiamano papà, mi offrono il loro aiuto ogni volta che ne ho bisogno, danno alla mia vita un senso che aveva perduto’.
Ma diamo ora la parola ai protagonisti. Demba per il grande viaggio, Giorgio per l’incontro e la svolta.
Sarteano, ottobre 2019
Quel 10 ottobre 2012, verso sera, esco dal villaggio di Sare Lountang e arrivo ai margini del bosco, dove so di trovare i cunicoli in cui le api depositano il miele Con un rametto acceso, avvicino la fiamma per far volar via le api Quella sera, però, c’e un vento forte che ha asciugato l’erba tutt’ intorno, con mucchi di foglie secche. Il pezzetto di legno acceso mi cade a terra e , in un attimo,le foglie prendono fuoco. cerco disperatamente di spegnerlo, ma, ben presto, mi rendo conto che non posso far nulla se non scappare. Le fiamme hanno già raggiunto i primi arbusti del bosco. E’ un vero e proprio incendio.
Corro verso casa, sono spaventato dal guaio che ho combinato. Stanno certamente bruciando gli alberi del bosco e il campo di arachidi di proprietà di un lnostro vicino del villaggio. Sulla porta di casa vedo mia madre, preoccupata perché s’è fatto tardi. Stretti accanto a lei il fratellino e la sorellina, di 12 e 10 anni. ‘Dove sei stato fino a quest’ora?’mi chiede. ‘Avevo già raccolto un bel po’ di miele’ dico io‘ quando ho visto uscire dal bosco un uomo grosso, mai visto prima. Gridava e agitava un bastone. Ho avuto paura, sono corso via e il barattolo del miele mi è caduto a terra.’ ‘Peccato’ dice mia madre ‘ mi serviva il miele per fare una tisana per tua sorella che ha la tosse’. Brontolando rientra in casa con i due bambini e mette in tavola la minestra di miglio che ha preparato per cena. Io ne approfitto per andare nella stanza dove dormiamo tutti e quattro insieme. Ormai ho deciso, devo scappare , prima che nel villaggio si diffonda la notizia dell’incendio e cerchino il colpevole. Metto in una sacca un paio di magliette e di mutande. Vado a tavola, ma dico alla mamma che non ho fame, metto di nascosto nella sacca del pane e una bottiglia d’acqua e me ne vado da una porticina sul retro, senza salutare la madre e i fratellini.
Non aveva mai pensato seriamente di lasciare il mio villaggio, Sare Lountang, che sta nella regione di Kolda, la parte meridionale del Senegal non molto distante dalla frontiera del Mali. E’ un villaggio di poche centinaia di abitanti, dove tutti si conoscono e molti sono parenti. Qui ho gli amici più cari con cui sono cresciuto, frequentando la scuola coranica di Velingara, la cittadina più vicina. Abbiamo giocato a pallone tifando chi per Ronaldo , chi per Messi o Zidane.
Da qualche anno ho meno tempo libero, devo lavorare, mungere la mucca, occuparmi del campo di arachidi e andare il giovedì al mercato di Djaoubè, a circa 15 km. Vado a vendere gli arachidi , il miele e qualche altro prodotto della nostra campagna. Mio papà è morto subito dopo la nascita della sorellina e mia mamma soffre di una grave malattia agli occhi. A 13 anni sono diventato il capofamiglia, dopo la morte di mio padre. Dipendiamo tutti dallo zio, suo fratello maggiore. ‘Da noi,quando muore il padre, la madre si trasferisce con i figli in casa del fratello del padre. La famiglia si allarga e i cugini diventano nuovi fratelli’. La mia famiglia è dunque diventata una famiglia allargata. Ma io voglio mantener una sorta di patria potestà sul fratello e la sorella più piccoli per essere io a decidere il loro futuro. Perciò devo guadagnare i soldi per il loro mantenimento. All’alba di ogni giovedì, dopo aver preparato i vasi per il mercato, salgo a cavallo, devo arrivare al mercato alle 7, per occupare un buon po
Durante la giornata incontro anche ragazzi più grandi, dei villaggi vicini. Ogni tanto sento parlare dei viaggi fatti da chi è partito per raggiungere la Libia e poi l’Europa. Sono viaggi avventurosi, di oltre 5.000 chilometri, attraverso il Mali, il Burkina Faso, il Niger e la Libia, in gran parte attraverso il deserto del Sahara. La chiamano ‘ la rotta occidentale est’. Pochi partono prima di aver compiuto i diciott’anni, il corpo è messo a dura prova, per la fatica, il caldo, la sete e la fame. Sei mesi fa è partito un mio amico di 18 anni, E’ arrivato a Tripoli da pochi giorni ed ha telefonato per dare la notizia alla famiglia. Le comunicazioni sono pressoché impossibili nel deserto. Ogni tanto fantastico su questi viaggi, mentre torno a casa la sera da Djaoubè. Fra qualche anno forse toccherà anche a me.
Mia mamma ha bisogno di medicinali costosi per curare la malattia degli occhi, altrimenti rischia di diventare cieca. I pochi soldi guadagnati al mercato bastano solo a comprare da mangiare per la famiglia. Bisogna guadagnare di più. Perciò bisognerà partire.
L’incendio nel bosco fa precipitare gli eventi, la partenza diventa improvvisamente una fuga.
Velingara dista poco più di 30 km da Sare Lountang. E’una città di circa 20.000 abitanti, che conosco bene perché ho frequentato la scuola coranica e conservo alcuni amici. E’ dunque qui che devo arrivare al più presto per avere notizie sulla strada da seguire per lasciare il Senegal e arrivare in Mali.
Cammino a passo svelto per tutta la notte e arrivo a Velingara prima dell’alba.
So dove abita Mansour, un amico, di lui posso fidarmi. Non ci vediamo da due anni. Sono fortunato, lo trovo in casa, non è ancora andato al lavoro. ‘ Mansour, sono Demba’ grido. Appena apre la porta, Mansour mi si butta tra le braccia. Per un paio di minuti restiamo abbracciati senza parlare. Ci guardiamo, piangiamo e ridiamo insieme. ‘Qual buon vento ti porta in città’ chiede Mansour. ‘Purtroppo no, è una disgrazia successa ieri sera nel bosco vicino a casa. Se hai un po’ di tempo ti racconto tutto’. Mansour mi chiede
di aspettarlo, di riposarsi, lui va a chiedere al padrone di lasciarlo libero dal lavoro oggi. ‘Ritorno tra poco’ ed esce di corsa. Passa solo mezz’ora e Mansour è già di ritorno. Ci sediamo per terra con una tazza di riso e un bicchiere di issap. Gli racconto quanto successo la sera prima e aggiungo:
‘Devo partire al più presto e ho bisogno di aiuto, soprattutto devo sapere quale strada seguire per arrivare in Mali’. Mansour chiama suo cugino che è tornato, il mese prima ,da Bamako. ‘La prima parte del percorso , circa 120 km per arrivare a Tambacounda’, dice il cugino ,’ è la più difficile. Devi costeggiare il confine con il Gambia, passando da Manda e Gouloumbo, stai attento a non farti tentare dal fresco della foresta della Kantora, che costeggia la strada per un lungo tratto, perché potresti non ritrovarla. Tambacounda è una città molto grande, devi chiedere della strada N1 che arriva da Saint Louis, la vecchia capitale del Senegal, attraversa tutta la città e porta diritto in Mali, passando per Kotari Naoudè,Baia, Boughoul Bamba, Goudiri, fino a Nayè al confine con il Mali, sul fiume Falemè, affluente del Senegal.
Io vorrei partire subito, ma Mansour insiste per trattenermi a pranzo. La mamma ha preparato il mate yassa, chissà quando potrò mangiarne ancora.
Il cugino di Mansour mi spiega come cavarsela durante il viaggio. ‘Cammina al mattino, fermati dopo mezzogiorno in una capanna abitata da contadini con animali, sempre fuori dai villaggi e chiedi ospitalità per la notte in cambio di qualche lavoretto nei campi o con gli animali’. ‘ La nostra gente è buona e ospitale, anche se poveri, ti aiuterà senz’altro ! Sei un ragazzino’ dice la mamma di Mansour. ‘Tra qualche giorno, quando sarai già lontano manderemo ad avvisare tua mamma e i tuoi fratellini che stai bene e farai avere tue notizie al più presto.’
Il mate yassa è una ricetta senegalese a base di vitello in umido con molta cipolla, pepe, peperoncino, aglio e limoni verdi. Si accompagna al miglio o al riso. ‘ Adesso chiacchierate e riposatevi ‘dice la mamma di Mansour’ ‘ Partirai domattina all’alba’
Riposato e rincuorato, parto all’alba. Inizia il mio grande viaggio.
Sto camminando da oltre quattro ore, a passo svelto, sul sentiero a fianco della strada principale, quando vedo apparire sulla destra i primi alberi della foresta della Kantora. Sento la stanchezza. Non sono abituato a camminare tanto. E poi ho dormito poco la notte scorsa. Senza accorgerci abbiamo parlato e giocato a dama con Mansour fino a notte. Ora scorgo in lontananza una grande capanna e, accanto, due mucche e un cavallo. Oh, se fosse casa mia! Mia mamma mi accoglierebbe piangendo, sulla porta, e io cadrei fra le sue braccia, felice. Ma guai a farsi prendere così presto dalla nostalgia. Il grande viaggio è appena iniziato. Arrivato vicino alla capanna, grido dalla strada : ‘c’è qualcuno ? Aiutatemi vi prego!”
La porta si apre e compare un vecchio. ‘ Chi sei ? Che cosa vuoi ?’ Mi avvicino e chiedo al vecchio se posso riposarmi lì, vicino alle mucche, per la notte. ‘Devo andare fino a Tambacounda domani’. Il vecchio mi guarda e chiede : A piedi ? Da solo? Che vai a fare a Tambacounda ? Da dove vieni ?
Ed io ‘arrivo da un villaggio vicino a Velingara’.
Il vecchio, incuriosito, mi interrompe. ‘ Entra, mangeremo insieme una ciotola di riso e mi racconterai’. Gli spiego che voglio andare fino in Libia e da lì in Europa,’ devo trovare un lavoro e mandare dei soldi alla mamma che è malata agli occhi e ai due fratellini piccoli’. Non gli parlo della fuga dopo l’incendio, ma non è una bugia, è vero che voglio guadagnare per mandare soldi a casa. L’incendio ha solo accelerato la partenza. Il vecchio mi ascolta con attenzione, diventa pensieroso e poi dice: ‘ mia moglie è morta un mese fa ed io non ho la forza per mettere a posto la stalla, che sta crollando, Se vuoi puoi fermarti un paio di giorni qui, mi aiuti a raddrizzarla, io ti pago per il lavoro e potrai prendere un autobus per arrivare da Tambacounda in Mali. Lo sai che sono quasi 300 chilometri ?’
Io lo guardo, mi ricordo le parole della mamma di Mansour, e accetto la proposta. Fino a tarda sera ci raccontiamo le nostre storie, la malattia della moglie, il banco del mercato a Djaoubè, la giornata in cui il vento ha quasi distrutto la stalla, gli amici e le partite di calcio al villaggio. Poi ci inginocchiamo entrambi sul tappeto, con il capo a terra e preghiamo, prima di coricarci, uno accanto all’altro.
Al mattino quando mi sveglio, è presto, ma il vecchio ha già preparato una tazza di latte caldo e un pezzo di pane per la colazione. Mentre mangiamo parliamo del lavoro da fare. ‘Devi preparare 6 paletti dell’altezza di questo tavolo. Cerca un tronco d’albero e poi con l’ascia e la sega li fai grossi come le gambe di questo tavolo’ dice il vecchio’ ti insegno io come si fa’. Insieme andiamo nel bosco e troviamo l’alberello che può andar bene. Lo sego alla base e lo porto vicino alla stalla. Qui il vecchio mi mostra come ottenere i 6 paletti, che dovranno sostituire quelli rotti dal vento nella parte retro del tendone, che si è afflosciato. Uno alla volta sradico i paletti rotti e li sostituisco con quelli appena tagliati. Il vecchio tiene il lembo del tendone e lo lega al paletto appena piantato. A mezzogiorno ci fermiamo per mangiare una ciotola di riso con un bicchier di latte. Nel pomeriggio finisco il lavoro, mentre il vecchio munge le due mucche.
A sera ci siediamo entrambi davanti alla porta della capanna. ‘Tra poco arriverà il carretto che raccoglie il latte.’ dice il vecchio’ per me ne tengo soltanto un litro al giorno.
E continuiamo a raccontarci le storie iniziate la sera prima.
Bassyou, è il nome del vecchio, ‘per alcuni mesi, circa 10 anni fa, ho lavorato nelle miniere d’oro di Diabougou . Avevamo bisogno di soldi per costruire la stalla. E’ una vita dura ma si guadagna bene. Lì potresti guadagnare sia i soldi da mandare a casa, sia i soldi per il viaggio.’
Poi arriva l’ora della cena. Il vecchio prepara una frittata con le uova delle sue galline. Io sono stanco, ma contento. Per tutta la giornata non ho pensato al villaggio . Solo ora, quando sono coricato, mi appare la mamma. Domani sera le telefonerò appena arrivato a Tambacounda.
Il mattino dopo, all’alba, ho preparato la sacca e il vecchio mi dà 1500 CFA (all’incirca 2 euro) per la giornata di lavoro. ‘Sei un bravo ragazzo, 1000 CFA dovrebbero bastare per l’autobus fino a Tambacounda.’ Ci abbracciamo e corro via, per nascondere una lacrima.
A Goloumbo trovo subito la fermata della corriera per Tambacounda
Pago il biglietto e mi restano 600 CFA. Prima di sera sarò a Tambacounda, da lì deciderò se andare alla miniera d’oro oppure no.
Tambacounda è una città di circa 80.000 abitanti, situata in una posizione strategica, perché passano sia la ferrovia, sia la strada principale che attraversa il Senegal da Dakar, a ovest, fino alla frontiera del Mali. a est. E’ un centro commerciale importante, dove vendono e comprano il mais, le arachidi, il cotone, tutti prodotti dell’agricoltura locale. C’è anche un’ importante fabbrica di cotone, dove si produce il tessuto.
Arrivo a Tambacounda prima di sera. Non ho mai visto una città così grande, mi guardo intorno, mi sento sperduto. Dietro alla stazione c’è una grande casa, circondata da alberi . Seduti per terra alcuni ragazzi mi guardano. Due di loro si avvicinano e mi chiedono: ‘ Cerchi qualcuno ?’ ‘Sono appena arrivato con l’autobus dalla regione di Kolda’ dico’ Devo fermarmi qui a Tambacounda stanotte e non so dove andare’. ‘Io mi chiamo Seydou’ dice il primo ragazzo ‘ e lui si chiama Alfa. Dormiamo qui stanotte, perché domani partiamo per la miniera di Dabougou. Se vuoi puoi stare qui con noi stanotte’ Ed io‘Sono proprio fortunato ad avervi incontrato, stavo pensando anch’io di andare a lavorare nella miniera per uno o due mesi; ho bisogno di guadagnare almeno 20.000 CFA per il viaggio fino a Tripoli, in Libia.
Mi siedo vicino a loro e incominciamo a raccontarci le nostre storie. Seydou e Alfa vivono in un villaggio vicino, Hamdalaye Tessan, ma, da quasi un anno, partono ogni mese per Dabougou . In un mese guadagnano circa 15.000 CFA , per le loro famiglie. Sono contenti di parlare con me del ‘grande viaggio’ verso l’Europa. ‘ Troverai altri ragazzi alla miniera, che lavorano, in attesa di partire per il Mali’ dice Alfa
Ci addormentiamo poco prima dell’alba, sdraiati uno accanto all’altro, sotto un grande albero. E’ un sonno molto breve, perché già alle 5 la piazza brulica di gente, che aspetta l’autobus.
Ogni mattina all’alba, centinaia di minatori - dai ragazzini quattordicenni, agili nell’infilarsi nei cunicoli più stretti, fino agli uomini sulla quarantina, esperti e rapidi nel lavoro di estrazione dei secchi – lasciano le loro catapecchie e si dirigono al luogo degli scavi. Lavorano per dieci ore, fino al tramonto, sotto il sole cocente, con mezzi e strumenti rudimentali. Le cavità in cui si calano a turno sono piccole fessure irregolari, profonde fino a cinquanta metri. I crolli sono frequenti, specie durante la stagione delle piogge, quando la terra si fa fangosa e poco stabile. «Oggi non lavoriamo perché siamo in lutto – ci racconta con lo sguardo avvilito un minatore–. Ieri un ragazzino è scivolato mentre risaliva da una buca e ha fatto un volo di venti metri. Ogni tentativo di rianimarlo è stato inutile»
Alfa e Seydou mi accompagnano alla loro baracca. La divideremo in tre per questo mese. La mattina dopo, vengo presentato alla squadra di cui fanno parte Seydou e Alfa. All’’interno delle buche l’aria è pesante, il caldo soffocante, man mano che si scende il buio è sempre più intenso. I minatori si fanno luce con piccole torce legate alla testa. Aggrappati alle pareti, in precario equilibrio, frantumano la roccia coi picconi fino a riempire i sacchi che vengono poi tirati su a fatica dai compagni. In superficie, le donne hanno il compito di spaccare le pietre. Altri manovali si occupano di trasportare fino al fiume, a spalla o con le carriole, i sacchi di iuta pieni di ciotoli. Con l’acqua e dei setacci artigianali si separa il pietrisco alla ricerca delle ambite pietruzze luccicanti.
A fine giornata, ogni squadra di lavoratori vende l’oro raccolto a stuoli di trafficanti locali che attendono pazienti, seduti su panche di legno, all’ombra di grandi teloni, poco lontano dal luogo in cui avviene l’estrazione. La nostra squadra ha ricavato oggi un valore di 18.000 CFA, pari a circa 24 euro che viene suddiviso tra gli 8 membri della squadra e il finanziatore che ha pagato per le attrezzature necessarie all’estrazione A me spettano 1800 CFA ( circa 2,5 euro).
Seydou è andato allo spaccio a comprare latte e miglio per la cena. Io mi sdraio stanco sul pagliericcio e mi ricordo di non aver telefonato alla mamma la sera prima. Alfa mi offre il suo cellulare e chiamo casa. ‘ Mamma sono Demba, sto bene, mi trovo in casa di amici vicino a Tambacounda. Alla fine del mese ti manderò dei soldi. mi comprerò un cellulare e ti chiamerò più spesso. Non preoccuparti’ Ho parlato tutto d’un fiato, per paura di scoppiare a piangere. Non ho nemmeno lasciato il tempo di parlare alla mamma
Seydou ritorna dallo spaccio. C’è con lui un altro ragazzo.’ Lui è Abdul, del Mali, dice Seydou ‘ ritorna a casa il mese prossimo, a Bamako. ‘ Mangiamo insieme una ciotola di miglio cotto nel latte e Abdul stende per terra una vecchia carta geografica, dove si vede la strada che da Tambacounda porta alla frontiera del Mali e poi a Bamako e a Ougadougou in Burkina Faso e da lì a Nyamey nel Niger, dove si attraversa il deserto del Tenerè fino a Madama e a Sebha in Libia.
Parlando del viaggio ci dimentichiamo della fatica, ma bisogna riposare. Prima di mezzanotte ci addormentiamo tutti e quattro. Domani all’alba ci aspetta un’altra giornata di duro lavoro.La sera dopo, di ritorno alla baracca, ho le dita screpolate e insanguinate e le unghie rotte. Non potrò andare a lavorare il giorno dopo. Forse dovrò fermarmi per più giorni, in attesa che le ferite si cicatrizzino. Per me è un grosso problema, ci vorrà del tempo prima che possa nuovamente scavare la roccia con le mani. Abdul mi rincuora ‘ Domani mattina andiamo tutti insieme al lavoro, parlerò con il caposquadra, starai fuori dalla grotta e porterai i sassi al fiume sulle spalle con il sacco di juta’.’ Ed io ‘Grazie amici, vi voglio bene’ e li abbraccio.
Da una settimana lavoro fuori dai cunicoli; porto il sacco di juta, circa 25 kg di sassi sulla schiena, per più di 1 km, 12 volte al giorno. Mentre le donne spaccano e setacciano i sassi in riva al ruscello, io ne approfitto per riposare qualche minuto e rinfrescarmi i piedi. Stasera un amico di Abdul porterà un cellulare che ho deciso di comprare per 5 euro, e telefonerò a casa. Ho già messo da parte 15 euro, alla fine del mese ne avrò più di 50, basteranno per iniziare il grande viaggio.
Telefono a casa ogni fine settimana, parlo con la mamma e con i fratellini. Vogliono sapere dove sto e cosa faccio, ed io rispondo sempre ‘ Non preoccupatevi, sto bene, lavoro in un cantiere e metto da parte i soldi. Alla fine del mese vi manderò 15.000 CFA( circa 20 euro)’ E’ arrivata la fine del mese. Sono dimagrito, la mia faccia si è asciugata, i lineamenti sono più duri, sono diventato un uomo, tra pochi giorni compirò 16 anni. Eccoci ora sull’autobus che ci riporta a Tambacounda. Alfa e Seydou ripartono subito per il villaggio. Abdul ed io andiamo alla stazione per prendere l’autobus che ci porterà a Bamako.
Bamako, la capitale del Mali, è vastissima, conta più di due milioni di abitanti.. Tutt’attorno sette colli la cingono e proteggono, come Roma. E’ in continua espansione, sempre molti nuovi abitanti arrivano dalle campagne, Il djolibà, “grande fiume” in lingua bambara, il Niger, scorre placido nel suo ampio letto e divide in due parti la città. Tre ponti collegano le sue sponde: il primo, in ordine cronologico di costruzione, il “ponte dei Martiri”, costruito dal governo nazionale; il secondo è dedicato al suo magnate, il re Fahd dell’Arabia Saudita; il terzo è stato costruito dai cinesi in una zona poco trafficata e lontana dal centro, in vista dell’incontenibile espansione della città. Tre ponti come i tre caimani (bambà o bamà in bambara e ko invece significa “dorso”), il dorso del caimano, simbolo della città. A nord c’è la parte più importante con i grandi alberghi, le ambasciate, il grand marchè, i centri commerciali e le moschee. Abdul ed io arrivaiamo proprio in questa zona. L’autostazione di Sogonikò è la tappa forzata dei migranti subsahariani in transito che si mischiano ad altre migliaia di persone quotidianamente in viaggio per la regione.Un mese fa Il vecchio Bassyou, dandomi i soldi, mi aveva raccomandato di cercare subito il Grand Marchè, dove aspettare le prime ore del mattino, quando arrivano i carri e si installano le bancarelle. Abdul conosce bene Bamako e mi indica come si arriva al Grand Marché. Dista poco più di un km dall’a stazione dei bus. Devo scendere per la grande strada nazionale n7 fino alla Cattedrale di Saint Jesus, a fianco troverò le stradine delle bancarelle. E’ tempo di salutarsi, Abdul deve andare a casa, dall’altra parte del fiume. Partirà forse il mese prossimo. Ci scambiamo i numeri di cellulare, ci sentiremo,, forse ci incontreremo di nuovo.
Il Grand Marchè è il cuore della città dove tutto si vende e tutto si può comprare, talmente brulicante e intasato che in confronto i suq mediorientali paiono dei supermercati. Ecco le stradine che si incrociano tra loro. Sotto un albero c’è una panca . Mi sdraio e mi addormento.
Alle 5 del mattino sento arrivare il primo furgone. Il conducente salta giù, apre le porte e prepara la bancarella sulla quale stenderà le merci
Ho fame. Un vecchio ha disposto sul banco una serie di panini e di biscotti. Gli chiedo: ‘Quanto costa questo panino? E insieme una bottiglietta di aranciata’ Il vecchio mi guarda: ‘ te le regalo se prima mi vai a fare un paio di consegne con la bicicletta’.Mii vergogno di dire che non conosco le strade di Bamako, so che devo imparare a sbrigarmela da solo. Mi faccio scrivere l’indirizzo delle consegne su un foglietto, inforco la bicicletta, metto a tracolla borsa con i due pacchetti e via.
Dopo circa un’ora eccomi di ritorno, tutto contento perché ho preso anche una mancia di 100 CFA. Il vecchio mi prepara il panino e l’aranciata e io siedo lì accanto.
Verso sera il vecchio mi dice ‘ Io vengo qui,ogni giorno, alle 5 del mattino, se sei qui puoi aiutarmi a montare il banco e la merce e poi vai a fare un paio di consegne. Io ti do da mangiare e anche 500 CFA’. Lo ringrazio ‘ Domani mattina ci sarò senz’altro, ma poi non so, devo partire-‘
Ho deciso di prendere l’autobus per Ougadouglou, nel Burkina Faso
L’autobus per Ougadouglou parte al mattino alle 7 ,due volte alla settimana. La prossima partenza è fra due giorni. Sono circa 900 km, per 13 ore di viaggio e un costo di 20.000 CFA ( circa 26 euro).
Faccio i conti, mi sono rimasti 30 euro. Sono incerto se fermarmi a Bamako oppure no. Decido che è meglio fermarsi. Chiederò al vecchio di aiutarmi a trovare un lavoro che mi permetta di guadagnare almeno altri 20.000 CFA
La mattina dopo Amadou, così si chiama il vecchio, mii dice di andare a trovare Youssouf, un artigiano che tiene bottega vicino al grand marchè
Youssouf ha un bazar, dove vende ogni sorta di casalinghi, cesti, pentole, vasi,ecc Li acquista da donne che fabbricano questi oggetti a casa e poi li portano alla bottega di Youssouf. Buongiorno dico ‘ Mi manda Amadou del grand marchè’ Ho lavorato per lui alcuni giorni, so andare in bicicletta e conosco bene le strade di Bamako’. Youssouf mi guarda e dice: ‘ Alcune donne abitano lontano, dall’altra parte del diolybà. Il grande fiume. Bisogna attraversare il ponte dei Martiri , andare a casa loro a ritirare i vasi e ritornare qui, portando sulla bicicletta un sacco con i vasi’’e, mentre parla, mi guarda, quasi a voler saggiare la mia forza. E poi aggiunge: Per ogni viaggio puoi guadagnare 1000 CFA, se non rompi nessun vaso. Stasera voglio trovare una sistemazione per la notte. E’ ancora Amadou ad aiutarmi. Dietro al grand marché c’è una stradina dove si trova una grande baracca; con 200 CFA ti danno un pagliericcio per passare la notte.Il giorno dopo incomincio il nuovo lavoro. Alle 6 sono già davanto alla bottega di Youssouf
Scopro così la parte sud della città, oltre il grande fiume. Il ponte dei Martiri è lungo 1,5km. Ci si arriva presto dalla bottega di Youssouf. Al ritorno dal ritiro dei vasi , se ho fatto presto, mi fermo a metà del ponte a guardare le acque maestose del grande fiume e le barche che passano sotto.
Nel capannone, dove dormo, ho conosciuto un altro ragazzo senegalese ,Soulimane, che partirà anche lui, a fine mese, per Ougadougou.
Soulimane fa il lavapiatti in un ristorante.
Dopo la giornata di lavoro andiamo entrambi al grand marchè a salutare Amadou, poi facciamo un giro per raccogliere qualcosa da mangiare fra i rifiuti delle bancarelle. Sta raccogliendo alcune banane guaste, quando sente un urlo: ‘ Aiuto’ grida Soulimane. E’ stato aggredito e ferito con un coltello e gli hanno rubato il portamonete con i suoi risparmi. Mi alzo e rincorro i due ladri, che scompaiono nel dedalo di stradine. Torno indietro da Soulimane. E’ ferito, ma non gravemente, alla spalla. ‘Aspettami qui, vado a cercare una farmacia’gli dico. Per fortuna la trovo subito, lì vicino. Compero un disinfettante e una fasciatura. Poi, fatta la medicazione, aiuto Soulimane a rialzarsi e, insieme, ritorniamo al capannone per la notte. Al mattino Soulimane sta meglio, ma non potrà tornare al lavoro per alcuni giorni. Allora decido di chiedere a Youssouf di lavorare solo al mattino per una settimana, al pomeriggio e sera lavorerò come lavapiatti al posto di Soulimane
Alla fine del mese decido di partire.Soulimane ha ripreso il lavoro al ristorante, deve restare per guadagnare i soldi che gli hanno rubato.Ci abbracciamo. Soulimane mi dà l’indirizzo di uno zio che abita a Fada N’gourma, vicino a Ougadougou.
Ougadougou è la capitale del Burkina Faso ‘ la terra degli uomini integri ’ nelle lingue locali Mossi e Bambara, l’ultimo Stato prima del deserto sub sahariano.
Burkina Faso e Niger sono due Stati molto poveri dell’Africa occidentale, con larga parte del Nord già desertificata. Il PIL pro capite annuo è di circa 500 $ in Burkina Faso. Da alcuni anni il Burkina Faso è teatro di attentati, soprattutto contro la minoranza cristiana ( circa 30% della popolazione)
Fada N’gourma è una cittadina di circa 40.000 abitanti a est di Ouganadougou, sulla strada nazionale 4 per Niamey nel Niger. E’ un isola felice rispetto al resto del Paese, sia per l’assenza di attentati, sia per le attività produttive e commerciali..
Fada N’gourma è un importante crocevia di collegamento con Benin e Ghana a sud, Niger a est e Mali al nord. Qui si tiene il ‘grand marché des bestiaux’, il più importante mercato di bestiame dell’intera area. Sono molti i commercianti che vi convergono per acquistare e vendere le proprie bestie, soprattutto cavalli . Si trattengono a Fada per alcuni giorni, favorendo lo sviluppo della ristorazione e delle strutture ricettive. L’Università EENI di Madrid ha fondato qui una sede che rilascia un diploma di African Business e di International Trade, a sottolineare il ruolo di centro commerciale della cittadina.. A Fada ci sono anche attrazioni turistiche collegate agli allevamenti, come ‘il Faso del cavallo’ , una manifestazione di ‘horse riding’, che richiama una gran folla di turisti. Lo zio diSoulimane, Omar, lavora da anni in un centro ippico, con allevamento di purosangue e offerta di trekking guidati a cavallo. Il viaggio da Bamako è stato lungo, Demba arriva a tarda sera, ma Omar lo aspettava. Soulimane gli ha telefonato , raccomandando di trovargli un lavoro. Racconto a Omar come ho conosciuto Soulimane al mercato di Bamako. ‘adesso Soulimane sta bene, ha ripreso il lavoro, ma deve fermarsi ancora qualche mese, poi arriverà anche lui’. Omar mi ringrazia e mi chiede se so montare a cavallo. ‘ Al mio villaggio, in Senegal, andavo ogni settimana a cavallo al mercato di Djaoubè, che dista circa 15 km; da qualche anno mi occupo io del cavallo che abbiamo, mi piace’. Allora dice Omar, ‘puoi cominciare il lavoro già domani, qui mi occupo io di tutto, il padrone viene solo una volta al mese. Ora andiamo a dormire’.
Mentre facciamo colazione al mattino Omar mi spiega in che consiste il lavoro.’ Al mattino bisogna far uscire dalle stalle i cavalli, pulire le stalle, far girare i cavalli nel tondino, quindi lavarli. Ci sono altri due ragazzi , ognuno si occupa di 6 cavalli. In questa stagione arrivano nel tardo pomeriggio dei turisti che vogliono fare una passeggiata a cavallo, Bisogna sellare i cavalli e accompagnarli. Nei primi giorni uscirai con un altro ragazzo per conoscere le strade da fare qui intorno’.
Omar mi accompagna alle stalle dove conosco gli altri due ragazzi, Alfa e Shalif. I cavallli sono 18 purosangue bellissimi, quasi tutti neri, con una lunga criniera. Alfa e Shalif mi spiegano che richiedono molte cure’ 12 sono femmine, di cui 8 gravide partoriranno fra un paio di mesi. In passeggiata ci vanno gli stalloni, i maschi, e solo in caso di necessità anche le femmine non gravide’. A fine mattinata Omar ci porta una ciotola di riso con pezzi di pollo. Chiacchieriamo .Alfa mi racconta chi era la regina Yennenga ‘La storia del Burkina Faso è strettamente legata alla figura di questa regina vissuta nel XIII secolo, una guerriera temibile che combatteva a cavallo. I griots (menestrelli, celebratori dei fasti di corte) cantavano così la sua figura:"Si distingue come un parasole aperto, slanciata come un tronco di palma. La cima dei suoi capelli, acconciata in molte trecce, sembra un giovane rettile arrampicato su un muro. I suoi occhi brillano come la mattina rischiarata dall’argento, mentre va a fidanzarsi con l’oro".
Io racconto il mio viaggio. I due ragazzi mi ascoltano e mi guardano come fossi un marziano. Loro sono nati lì e non si sono mai mossi.
Alle 17 arrivano 3 turisti inglesi, 5 cavalli sono già sellati. Alfa precede tutti, seguono i turisti e, quindi ci sono io. Per circa un’ora andiamo prima al trotto e poi per qualche tratto al galoppo. Sono emozionato.
Al ritorno ricevo i complimenti di Alfa e di Omar.
Finalmente è sera. Omar ed io ceniamo da soli. Alfa è ritornato a casa, mentre Shalif dorme in una capanna vicino alle stalle. ‘ la paga mensile sarà di 50.000 CFA, più le mance che i turisti danno dopo la passeggiata. Oggi Alfa ha preso 2.000 CFA. Qui si fatica,ma puoi guadagnare fino a 100.000 CFA in un mese’ Sono stanco, ma soddisfatto. Domani mattina telefonerò a Soulimane. Ora mi metto a letto e fantastico già la traversata del Sahel.
Dopo appena una settimana esco già da solo in passeggiata coni turisti. Penso già di fermarmi qui per almeno tre mesi, in modo da racimolare un bel gruzzoletto. E’ appena passato un mese, quando succede il guaio. Da qualche giorno viene a cavalcare una ragazza, Larissa, figlia di un magnate russo, che sta a Fada per affari. La ragazza arriva verso le 18, accompagnata in macchina dall’autista che è anche la sua guardia del corpo. Larissa ha 17 anni, è bionda, alta e snella, gli occhi grigi, a cavallo sembra un’amazzone. Io ho un fisico da atleta, sono alto 1,90 , sorrido da uomo felice. Al ritorno da una passeggiata Larissa accosta il cavallo al mio, ci abbracciamo continuando a cavalcare. Igor , l’autista, ci vede e chiama Omar.’ Quel suo ragazzo ha tentato di baciare Larissa, lo deve mandar via,altrimenti vi denuncio’.
Un bacio innocente di due ragazzi diventa una tragedia. Alla sera Omar, piangendo, mi dice’Caro ragazzo, devi imparare a vivere con i bianchi. Devi saper stare al tuo posto. Ora devi partire subito, altrimenti rischio anch’io il lavoro’
All’alba , zaino in spalla, vado a prendere l’autobus per Niamey.
Niamey è la capitale del Niger, nella parte sud ovest di questo Paese, senza sbocco sul mare, in gran parte desertico. Appena 20% della popolazione risiede in centri urbani, con un reddito pro capite annuo di 330 $, il più basso di tutta l’Africa occidentale. Niamey è una sorta di confine fra il mondo civile e la barbarie, dove polizia e predoni si arricchiscono sulle spalle dei migranti.
E’ pericoloso fermarsi a Niamey per cercare un lavoro. Ho preso un biglietto fino ad Agadez, crocevia dei migranti, a 950 km verso est. Ho pagato 10.000 CFA, circa 15 euro. Può sembrare poco per una tratta così lunga, ma bisogna vedere in quali condizioni di sovraffollamento si viaggia. Inoltre si incontrano sulla strada dei posti di blocco, talvolta della polizia, talaltra dei predoni. I passeggeri vengono fatti scendere dall’autobus e perquisiti. Non c’è alcuna possibilità di nascondere il denaro addosso. Finanche nell’intercapedine fra la suola della scarpa e la soletta. Per ripartire bisogna pagare 2.000 o 3.000 CFA.
Nel timore di essere derubato del mio tesoretto, ho nascosto gran parte dei soldi all’interno del sedile dell’autobus, bucandolo nella parte inferiore.
Dopo 24 ore di viaggio, arrivo ad Agadez a mattina inoltrata. Hp deciso di fermarmi ad Agadez,prima di proseguire il viaggio verso la Libia. Da Agadez partono due strade. La strada principale, quella percorsa dalla maggior parte dei migranti è più lunga, ma meno pericolosa. Da Agadez a nord verso Ahit, si entra in Algeria, e si arriva a Tananrasset. Poi con un lungo giro intorno ai parchi nazionali del Ahaggar e del Tassiri, da Bordj el Houar si arriva al confine della Libia a Ghat e quindi a Sebha. Sono in totale 2.500 km. L’altra strada , verso Madama, a est, è appena tracciata. Si passa il confine con la Libia a Tumu, un checkpoint di frontiera , nel distretto di Murzuq, a 310 chilometri a sud di El Qatrun , l'insediamento libico più vicino sulla strada del deserto. Tumu è costituito da poco più di alcune baracche del governo.
Agadez è diventata una baraccopoli di migranri in marcia verso la Libia. E’ qui che il Niger ha ammassato migliaia di migranti in attesa. Fa parte degli accordi che la Libia ha stipulato con il governo italiano. Io ne ho sentito parlare durante il viaggio da Niamey e non voglio fare la stessa fine, con il rischio di essere derubato e rispedito indietro. Decido di fermarmi solo pochi giorni, dormendo vicino alla grande moschea
Sono incerto sul da farsi, non conosco nessuno. Per la prima volta ho paura. Non mi basta più sentire la voce della mamma al telefono. Sono solo. Al quinto giorno prendo un camion per Madama che prosegue in Libia fino a El Gatrun, sulla strada per Sebha.
Prima di arrivare al checkpoint di Tumu I neri vengono fatti scendere dal camion. In quelle settimane vengono rimandati indietro. Dobbiamo proseguire a piedi, attraverso il massiccio a ridosso di Murzuk, importante centro storico, ex capoluogo del Fezzan, la zona più à sud della Libia. Camminiamo tutta la notte per 50 km. su e giù per le dune del deserto. Il camion ci riprende 30 km dopo il checkpoint, sulla strada per Murzuk. A tarda sera arriviamo a Sebha. Ho i piedi gonfi e doloranti. Dovrò fermarmi a Sebha, curarmi e poi cercare un lavoro.
Durante la marcia nel deserto al confine della Libia ho fatto amicizia con Ousmane,un ragazzo del Mali. Cerchiamo insieme un posto per dormire. Una coppia di libici, marito e moglie, ci propongono in affitto una piccola baracca in lamiera,vicino ad un grosso albero. Sono gentili, sembrano persone per bene, si interessano del nostro viaggio. Io consegno loro 5.000 CFA per pernottare una settimana. Nei giorni seguenti mi riposo bagnando spesso I piedi. Ousmane va in cerca di lavoro. Fa il manovale in un cantiere. Alla fine della settimana avvisiamo i padroni della baracca che partiremo il giorno dopo. Di notte spalancano la porta ed entrano nella baracca 3 uomini mascherati, armati di coltelli. Ousmane ed io dobbiamo consegnare tutti I soldi. Dopo la rapina veniamo cacciati fuori. Siamo disperati. Se la polizia ci trova senza documenti e senza soldi, saremo certamente rispediti in Senegal.
E’ ancora notte quando ci incamminiano nella campagna alla periferia di Sebha. Dopo pochi chilometri arriviamo in un villaggio ai bordi di un laghetto con attorno molti alberi, una sorta di oasi. E’ appena iniziata la raccolta dei datteri. Nel villaggio ci sono molti bambini e molti vecchi. Gli adulti sono andati via lontano, verso Tripoli, in cerca di lavoro, o si sono arruolati nella milizia. Ci presentiamo a un anziano, il capo del villaggio. C’è la possibilità di lavorare alla raccolta dei datteri. Accettano la proposta di fermarci per circa un mese. Potremo guadagnare i soldi necessari per proseguire fino a Tripoli.
Dopo il viaggio tanto sofferto, fra fatiche e ruberie, ci voleva proprio questa sosta nell’oasi di Al Katrun. Per noi ragazzi salire sulle palme e coglierne in cima i grappoli carichi di datteri è un gioco, anche se alla fine della giornata di 12 ore la stanchezza si fa sentire. Ma alla sera troviamo una cena calda che ci ristora. Alla fine del mese c’è la festa di fine raccolto dei datteri. Si canta, si suona, si balla. Il mio pensiero va alle feste del mio villaggio, vedo gli amici, le ragazze, i fratelli e la mamma. Al mattino ripartiamp con un camion che va a Tripoli. Sarà la fine del grande viaggio, sono gli ultimi 800 km.
Il camion, dopo 12 ore di viaggio, a sera, si ferma a circa 100km da Tripoli. Arrivano due uomini armati di mitra, che ci fanno scendere. ci perquisiscono e prendono tutti i soldi, quindi ci fanno salire su un altro camion. I due miliziani armati parlano con il guidatore del nostro camion. Che succede ?. Siamo stati venduti a un gruppo armato. Ora ci portano in una baracca dove ci sono alcune decine di ragazzi africani. Qui veniamo incatenati. Al mattino presto ci portano a lavorare in un cantiere, a trasportare sacchi di cemento. Ci danno un tozzo di pane e una bottiglia d’acqua. Alla sera ci riportano tutti nella baracca. Il capo dei sequestratori dice ‘ chi paga 100 euro’ è libero.
Sono preoccupato. Non riesco a parlare con lo zio che mi aveva promesso di aiutarmi. Ho un fratellastro che vive a Tripoli, ma non riesco a entrare in contatto neppure con lui. Passano i giorni, siamo molto stanchi. Io vedo passare le macchine che vanno verso Tripoli da un buco nella parete della baracca. Dopo una settimana, insieme ad altri due ragazzi del Gambia, Ahmed e Djalo, decidiamo di organizzare la fuga. Ousmane fingerà di essere già incatenato, quindi , verso mezzanotte, segherà le catene che legano gli altri tre, usando una seghetta che abbiamo preso e nascosto dal cantiere. All’ora stabilita, rompiamo la porta e scappiamo a piedi verso Tripoli.,attraverso i campi,fuori dalla strada per non farci prendere.
A mezzanotte del giorno dopo arriviamo in vista di Tripoli. Siamo stremati dalla fatica, dalla sete e dalla fame. Per fortuna io riesco a parlare con mio cugino, che viene a prenderci e ci porta tutti e quattro in un capannone semidistrutto , dove ha affittato uno spazio di 10 mq per un mese.
Ora dovremo trovare un lavoro per guadagnare il prezzo da pagare ( circa 300 euro a testa) per la traversata del Mediterraneo in barcone. Il mio fratellastro è bene introdotto nell’ambiente dei contrabbandieri, fa lo scafista ! Prima di andar via mi dà un indirizzo dove presentarci il giorno dopo.
Mi presento io la mattina sul lungomare di Tripoli. A quell’indirizzo c’è un grande ristorante. Il padrone è un capo dell’organizzazione malavitosa che sfrutta i migranti e controlla un buon numero di scafisti. C’è lavoro per tre persone, uno sguattero, uno per fare le pulizie e un terzo per fare il cameriere, se parla l’inglese. Ahmed parla l’inglese e anche un po’ di arabo. Ha studiato in una madrassa. Il giorno dopo Ahmed, Ousmane ed io iniziamo il lavoro, mentre Djalo resta nel capannone. Si occuperà delle pulizie e di comprare pane, riso e latte per la cena. E’ meglio che uno di noi resti di guardia ai nostri pochi averi. Ci sono in giro molti miliziani armati, a tutte le ore.
Pochi giorni dopo, la sera, mentre ritorno al capannone con Ousmane e Ahmed, Djalo esce per comperare il pane, prima del coprifuoco alle 21. Un miliziano è vicino alla sua jeep, è arrabbiato, non parte. Vede Djalo che attraversa la strada e lo chiama. Djalo non capisce l’arabo. Non gli risponde e continua a camminare. Il miliziano tira fuori la pistola, spara e lo ammazza. La Libia non è solo guerra, guerra civile, ma guerriglia, uccisioni per le strade. Il trionfo della violenza.
Il mio fratellastro ci ha spiegato che occorre lavorare almeno quattro mesi per pagare la traversata. Il padrone del ristorante trattiene direttamente i soldi del nostro salario e ci dà loro solo pochi spiccioli per le piccole compere. I quattro mesi passano presto, senza altri incidenti. L’appuntamento per l’imbarco è fissato per il 2 aprile 2014 a Zabrata.
Questa località a 70 km a ovest di Tripoli. È conosciuta come la perla della Tripolitania. La città, fondata dai Fenici vicino al mare, è ricca di storia e di monumenti. Ora è diventata il porto naturale dove vengono portati, a centinaia ogni giorno, gli immigrati da imbarcare.
Quel giorno arriviamo al punto d’imbarco alle 11. Scendiamo in 200 dai pullman, su una radura a 100 metri dalla spiaggia. A ciascuno di noi danno un pacchettino di biscotti e una bottiglietta d’acqua e ci dicono di non muoverci da lì, di aspettare, l’imbarco è previsto per la sera.
E’ la giornata più lunga della mia vita, il tempo non passa mai. In me si alternano sentimenti di gioia e speranza a momenti di paura e angoscia.
Un po’ alla volta vedo formarsi dei gruppi, sono persone che vengono dagli stessi Paesi. Ecco i senegalesi, ci abbracciamo anche se non ci conosciamo. Non sappiamo se partiremo tutti stasera. Siamo contenti di ritrovarci, nello stesso tempo ci contiamo e ciascuno di noi pensa chissà chi di noi resterà qui ad aspettare un altro giorno
Verso sera arriva un grosso barcone, ci avvisano di prepararci. Il barcone si ferma a circa 100 metri dalla riva. Arrivano 3 gommoni. Ci fanno salire
in 50 su ogni gommone. C’è una gran ressa, tutti spingono, vogliono salire sui gommoni. Una voce grida in francese e inglese, ‘c’è posto per tutti , i gommoni ritornano subito. Stasera partite tutti’. Ci calmano e applaudiamo. I 3 gommoni stanno già ritornando. Fanno 3 viaggi e caricano tutti. Saremo in 420 sul barcone.
Mentre saliamo sul ponte del barcone cidanno 4 scatolette, un pacco di biscotti e una bottiglia d’acqua, il viaggio durerà 4 giorni . Ci fanno capire che non ci sarà altro da mangiare né da bere. Dopo un’ora circa, il motore del barcone viene acceso, fa un rumore fortissimo, esce un fumo nero e denso. E’ già buio. Molti di noi non hanno mai visto il mare. Il barcone ondeggia. Ci stringiamo gli uni con gli altri. Si sentono le onde che battono i fianchi del barcone. Finalmente si parte, inizia la fine del ‘grande viaggio’. Preghiamo Allah che ci faccia arrivare in Italia sani e salvi.
Nessuno dorme quella notte, c’è chi si accuccia abbracciando le ginocchia, senza dire una parola, c’è chi invece parla con chi ha conosciuto sulla spiaggia. E’ un brusio di voci, in cui l’angoscia si scioglie un po’ e prevale la speranza. Alle prime luci dell’alba, il mare domina tutto intorno, sembra tranquillo e il barcone procede veloce. Bisogna approfittare per fare i propri bisogni dal bordo del barcone. A turno ci teniamo le braccia, per paura di non cadere, perché il barcone oscilla sempre. Oltre chi guida il barcone ci sono sul ponte il timoniere e altri due guardiani. Gridano di star fermi, di non alzarsi. Apro la prima scatoletta di tonno, la condivido con un ragazzo del Mali che sta vicino a me. Bisogna bere e mangiare pochissimo.
Per fortuna il tempo si mantiene buono ed il mare è abbastanza calmo.
La seconda notte trascorre tranquilla ed anche la terza giornata. Ma a metà della terza notte, uno scossone improvviso ci scuote tutti. Il barcone sbanda, il motore fa alcuni scoppi e poi si ferma. C’è tensione anche fra gli scafisti. Trascorrono alcune ore. Non usiamo i cellulari perché la batteria deve essere preservata, il cellulare serve per fare un po’ di luce. Finalmente il motore torna a scoppiettare,si riparte.
All’alba del quarto giorno si alza un urlo di gioia, si vede all’orizzonte la terraferma. Poco dopo però subentra la paura. Si sente la sirena di una nave veloce, è la guardia costiera italiana.
Siamo a circa 500 metri dalla costa, gli scafisti calano in acqua 3 zattere e ci ordinano di scendere. Queste zattere saranno certamente intercettate dalla guardia costiera. Alcuni temono di essere rimandati indietro e si buttano in mare, per raggiungere la riva a nuoto.
Io decido di restare sul barcone. Sono convinto di non aver nulla da temere. Poche ore dopo siamo circa in 200 a salire sulla nave della guardia costiera.
Sbarchiamo ad Augusta, un porto di arrivo delle petroliere, pieno di raffinerie.
Uno per uno veniamo identificati, quindi ci trasportano con 4 pullman a Mineo,
un comune dell’entroterra, in provincia di Catania. Qui a 8 km dal centro c’è una sorta di residence, fatto di casette, che fino a pochi anni prima era occupato dalle famiglie dei militari americani di stanza alla base di Sigonella.
Il residence, sperduto nelle campagne catanesi, è una specie di suk. All'interno convivono decine di etnie, di tribù: pachistani, siriani, libici, africani sub-sahariani. Una sorta di babilonia, dove si parlano lingue e si professano religioni differenti. Uomini, donne, famiglie ammassate, giovani che bivaccano: tutti in attesa di quel pezzo di carta che riconosca loro lo status di rifugiato.
Restare qui è pericoloso, c’è un clima di tensione, di rissa. Ci dicono che domani partiremoper Siena, in Toscana.
Il viaggio da Mineo dura più di 24 ore.. A Salerno il pullman si ferma in una grande stazione di servizio. Ci fanno scendere 5-6 alla volta per andare ai gabinetti. Ci dicono poi di risalire subito sul pullman, dove ci danno un panino con formaggio e una bottiglietta d’acqua. E’ meglio non entrare al bar ci dicono. Potrebbero spaventarsi vedendo tanti ragazzi di colore, quando è ancora notte. Finalmente arriviamo a Siena all’inizio del pomeriggio. In prefettura ci fanno alcune domande e registrano i nostri dati anagrafici. Passano circa 3 ore. Poi arriva un pullmino della Misericordia di Chiusi, in 15 partiamo per Chianciano Terme all’hotel Leonardo, dove arriviamo poco prima delle 20.
Qui ci sono già 45 ragazzi. L’albergo Leonardo ha una ‘dependance’, una casa che Francesco, il proprietario dell’albergo, ha acquistato l’anno scorso per alloggiare noi profughi immigrati. Ora siamo circa sessanta, da 4 a 6 per stanza.
Il nostro caseggiato ha un ingresso indipendente su una strada laterale, via…… All’interno c’è un piccolo cortile che ci divide dall’albergo. Non ci è vietato entrare nell’albergo, ma Francesco ci ha fatto capire che , soprattuto nell’alta stagione, quando ci sono I turisti, è meglio se restiamo nella ‘dependance’.
A Chianciano c’è anche un altro Centro di accoglienza, l’albergo Stella d’Oro, a meno di 1 km, dove alloggiano altri 50 immigrati. In totale siamo dunque più di 100, tutti maschi, dai 18 ai 30 anni, quasi tutti arrivati dai Paesi dell’Africa Occidentale (Senegal, Nigeria, Gambia, Costa d’Avorio, Mali,ecc.)
Fra I nuovi arrivati con me, c’è anche il mio nuovo amico Demba. Ha la mia stessa età. Ci riesce di andare nella stessa stanza, lui più basso di statura occupa il letto di sotto ed io quello sopra. Ormai nulla ci separerà più, saremo come due fratelli. Parliamo fino a notte fonda dei nostri villaggi. Lui ha una sorella più grande, già sposata e due fratelli, uno più grande che lavora nella Repubblica Democratic del Congo e uno più piccolo che andrà l’anno prossimo a Dakar, all’Università. Perciò deve mandargli dei soldi.
Prima di addormentarci, telefoniamo entrambi a casa e ci scambiamo I telefoni per salutare le rispettive mamme e figli.
Domani comincia una nuova vita. Siamo felici.
Che cos’è un Centro di accoglienza ?
E’ una struttura ricettiva, di solito un albergo oppure una casa privata che il proprietario decide di attrezzare con molti letti e una cucina per una collettività di almeno 20.30 persone. La prefettura sceglie un’ associazione onlus, per esempio la Misericordia di Chiusi, e le dà l’incarico di selezionare in quella zona, uno o più Centri di accoglienza, in cui collocare alcune decine di immigrati. La Misericordia riceve dalla Prefettura 35 euro al giorno per ogni immigrato, di cui 25 spettano alla struttura che lo ospita, 2,5 sono il pocket money, e 7,5 euro restano alla Misericordia che si occupa di tutti I trasporti, dell’organizzazione dei corsi di italiano, e dei controlli. L’immigrato riceve ogni 6 mesi un cambio di vestiario.
Insomma ci sarebbero tutte le condizioni per attuare l’accoglienza.
Accoglienza ( in francese accueil) è una bella parola.
Benvenuto è il saluto che si dà all’ospite, che si accoglie ‘ a braccia aperte’.
Come si vive nel Centro di accoglienza.?
Qui all’albergo Leonardo non si vive male, c’è da mangiare, ci sono I servizi igienici e le docce, le stanze sono un po’ affollate , ma I letti a castello sono abbastanza comodi. Conosco alcuni amici che vivono in un casale fatiscente, dove fa freddo anche d’estate, mangiano poco e male sono distanti quasi 2 km dal paese.
Il problema principale è la solitudine, l’isolamento. Quando usciamo per fare una passeggiata noi andiamo allo Stella d’Oro, loro vengono al Leonardo. Per la strada c’è parecchia gente, ma nessuno ci vede, sembriamo invisibili. E’ pressochè impossibile far conoscenza con qualcuno del posto, ci viene sempre detto di non importunare la gente, rivolgendo la parola a qualcuno che non sia un nero, come noi. . Chianciano è piena di negozi e di bar. Ma che possiamo fare con I 25 euro che ci vengono dati ogni 10 giorni come ‘pocket money’, una sorta di paghetta che si dà ai bambini?
Appena sono arrivato mi hanno spiegato che cosa possiamo fare e che cosa no,quali sono I nostril diritti e i nostri obblighi. Siamo scappati dal nostro Paese per cercare un lavoro e mandari soldi alle nostre famiglie, quindi nessuno di noi riceve soldi. Siamo tutti alla ricerca di qualche lavoro da fare, per guadagnare un po’ di soldi da mandare a casa e da aggiungere alla paghetta. A Chianciano ci sono molti bar, ristoranti, alberghi che, soprattutto nella stagione turistica, avrebbero bisogno di persone disposte a lavorare, anche per poche ore al giorno. Ma lavorare è una delle cose che non può fare chi sta in un Centro di accoglienza. E’ vietato. Bisogna arrangiarsi, fare qualche lavoretto in nero, senza contributi, senza assicurazione, con la complicità del datore di lavoro. In molti casi sei pagato poco, prendere o lasciare. Sia tu, sia il datore di lavoro, se scoperti, rischiate una multa e per te ci sono anche provvedimenti, per non aver rispettato un divieto, quello di lavorare. Amiamo molto il calcio. Quelli del Leonardo, con gli amici della Stella d’Oro hanno fatto due squadre. Andavano a giocare sul campo sportivo comunale. Dopo pochi mesi è stato vietato loro l’accesso.Ora per giocare a pallone bisogna andare in un campetto più lontano, dove non ci sono spogliatoi.
Io sono stato fortunato. Siamo sempre insieme Demba ed io, ci aiuta a superare la ‘solitudine’. Alcuni ragazzi non escono mai, stanno sempre rinchiusi, si alzano solo per mangiare, non parlano con nessuno. Il dottore dice che sono ammalati, soffrono di depressione.
Con il mio amico Demba facciamo dei lavoretti per Francesco, andiamo a riempire un bidone d’acqua buona da bere a una sorgente vicina, tagliamo la legna, ecc. Lui risparmia sulle spese e noi guadagnamo I soldi da mandare a fine mese a casa.
Due volte alla settimana, una giovane maestra, mandata dalla Misericordia di Chiusi, viene allo Stella d’Oro a far lezione di italiano. Su 100 ragazzi, partecipiamo solo in 20, gli altri non vengono, anche se sarebbe obbligatorio. Impariamo poco e male, soprattutto non abbiamo occasione di parlare in italiano, fuori da quelle due lezioni. Con Francesco scambiamo solo poche parole sul lavoro da fare.
E’ passato un anno e mezzo dal mio arrivo a Chianciano, capisco un po’ d’italiano, ma riesco a dire solo poche frasi,con molti errori.
Quanto tempo dovrò ancora stare qui? Quali speranze mi restano dopo il lumgo e terribile viaggio dall’Africa ?
Poi improvvisamente tutto cambia. Ho incontrato Giorgio. Lascio a lui la parola
E’ il mese di aprile del 2015,sto percorrendo in macchina la strada da Sarteano, dove abito, a Chianciano. Piove. Ai lati della strada vedo un ragazzo di colore che cammina, coprendosi come può con un telo di plastica. Mi fermo e gli chiedo dove va. ‘ A Chianciano’ risponde ‘all’albergo Leonardo’. Decido di dargli un passaggio. Lui mi guarda e mi dice : ‘Papà, je suis ici depuis plus qu’un an, mais personne s’est jamais arrêté (sono qui da più di un anno, ma nessuno si è mai fermato! )‘ Queste parole mi commuovono, non le dimenticherò mai.
Mi chiede quindi se parlo francese e cominciamo una breve conversazione. Arriviamo all’albergo e ci scambiamo i numeri di cellulare. Nei due mesi successivi vado a prenderlo alcune volte all’albergo per trascorrere la giornata a casa mia. Abito in un borgo di montagna, sulle pendici del monte Cetona, a 8 km dal centro di Sarteano, a 12km dall’albergo Leonardo. Un po’ alla volta incomincia a raccontarmii storie del suo villaggio e del terribile viaggio attraverso Mali, Niger, Burkina Faso fino ad arrivare in Libia a Tripoli. A sera lo riaccompagano a Chianciano. Parliamo anche dei suoi progetti, di imparare bene l’italiano, di trovare un lavoro e di restare in Italia per alcuni anni.
Mia nipote lavora a Londra. Ora è venuta per qualche giorno a trovare il nonno. Insieme a sua mamma Viviana andiamo a prenderlo per trascorrere la giornata a Pietraporciana, un posto meraviglioso nel bosco a oltre 800 metri slm , dove c’è un’osteria gestita da due simpaticissimi napoletani, Ivan e Giancarlo. Sia Viviana che Greta ad Demba chiedono tante cose del suo Paese. Parlano un po’ francese, un po’ italiano. Ci capiamo bene, sentiamo giù di volerci bene. Giancarlo, il chef, ha preparato una pasta al forno squisita. Ho volute farconoscere Demba farmi conoscere mia figlia, a mia nipote, ai miei amici. Ritornando all’albergo Leonardo, verso sera, dico ad Demba di pensare alla possibilità di venire a vivere a casa mia.
L’ultima settimana di luglio vado all’albergo Leonardo. Gli propongo di trascorrere uno o due anni a casa mia. Studieremo insieme l’italiano, poi frequenterà la scuola guida per ottenere la patente. Nell’agosto del 2015 inizia così la nostra convivenza, dopo aver ottenuto dalla Questura di Siena il nulla osta per la sua ospitalità, assumendomi ogni responsabilità al riguardo. Studiamo l’italiano e cuciniamo. Nel fine settimana guardiamo insieme le partite di calcio in TV. Per lui sono ‘papà’. Per non farlo sentire troppo solo nel mio ritiro di montagna, lo iscrivo alla società calcistica locale, dove diviene presto un beniamino, sia perché bravo giocatore, sia perché simpatico. Due fratelli in particolare prendono a ben volerlo e lo accompagnavano a casa la sera tardi, dopo gli allenamenti. La vigilia di capodanno, invitiamo due suoi amici senegalesi, il ‘fratello Demba e Omar, per fare insieme il cenone. Cucinammo il ceebu jen , piatto tipico senegalese. A mezzanotte suoniamo e cantiamo l’inno senegalese. Da anni non avevo trascorso un capodanno in tanta allegria. Nonostante le sofferenze, la lontananza dal loro villaggio, la diffidenza che li circonda, i ragazzi africani sono straordinari, sorridono sempre.
Io vado a letto e li lascio vegliare ed ascoltare musica. A casa mia I letti non mancano. Dormiranno da noi.
L’indomani, primo gennaio 2016, a fine mattinata li riaccompagnamo all’Albergo Leonardo. E’stato un bel Capodanno, trascorso in allegria.
A Fonterenza, Il borgo dove abito, ci sto io e un’altra famiglia di 3 persone, una coppia Carla e Danio, intorno ai 50 anni, e Assunta, la mamma di Danio.
Quando hanno visto Demba la prima volta, sono rimasti perplessi. Io li avevo informati in luglio che dal mese di agosto sarebbe venuto ad abitare con me. Dopo la morte di mia moglie Carla veniva a fare le pulizie a casa mia due volte alla settimana. Alla fine di luglio mi ha detto che non poteva più venire, già dal mese di agosto. Perciò, quando sono andato a prendere Demba all’hotel Leonardo e siamo venuti a casa, gli ho dato subito in mano una scope, e ci siamo fatti una bella risata.
Fra gli altri 4 appartamenti del borgo, 2 sono disabitati e altri 2 sono ristrutturati, ma di proprietà di famiglie che non li abitano e vengono solo raramente.
A distanza di poco più di un km ci sono altri 3 borghi, uno abitato da due anziani, uno è diventato una multiproprietà dopo la ristrutturazione e il più grande Fontevetriana, dove cisono una trattoria e due agriturismi. Oltre a 4 famiglie residenti.
Non c’è molto da stare allegri per un ragazzo come Demba, soprattutto nella stagione autunnale e invernale. Io gli dico ‘meglio così, avremo più tempo per studiare’ Lui ride e mi risponde ‘ sì papà, ma prima esco un po’. Prende Tricky, il mio cane, che va molto d’accordo con Demba, che la porta a spasso, mentre con me usciva pochissimo. Sono affetto da una neuropatia avanzata agli arti inferiori e cammino con due bastoni. Quando escono, Demba e Tricky, non tornano mai prima di due ore. Sono birbaccioni. Per Tricky è un divertimentocorreredietro ai giovani daini e agli scoiattoli nel bosco. Demba approfitta per telefonare agli amici, perchè in casac’è poco campo e io preferisco che passi troppo tempo con il cellulare. Abbiamo fatto un patto, niente cellular a tavola. Per il resto mi rendo conto che
Il cellulare, in una situazione di isolamento, come il centro di accoglienza, è il solo strumento per fare rete con I tanti amici sparsi per l’Italia e l’Europa e con la famiglia e il villaggio.
L’altro passatempo importante è la televisione, soprattutto il calcio, ma anche film e serie televisive. Ma sulla TV sono più severo, si guarda solo dopo le 19 Durante la giornata almeno 4 ore sono dedicate allo studio.
16 La lingua italiana
Nel Centro di accoglienza Demba ha seguito tutte le lezioni all’albergo Stella d’Oro.
Capisce abbastanza , ma ha difficoltà a parlare. Nella sua lingua, il pular, come nel bambara e lamaggior parte dei loro idiomi, non esistono articoli e preposizioni e I verbi si coniugano quasi solo all’infinito. ‘Dare me pane’ per lui equivale a ‘dammi il pane’ . Io non ho mai fatto l’insegnante di grammatical italiana, perciò mi metto a cercare su Internet. Scopro, sul portale cultura della RAI, ‘il grande portale della lingua italiana’ e qui ‘italiano per stranieri’ . Ci sono 47 unità, suddivise in 4 livelli (A1,A2,B1e B2).Ogni unità dura circa1 ora e contiene una puntata della storia della famiglia Ba, il cui capofamiglia, Salif, è arrivato in Italia dal Senegal. Dopo la storia ci sono alcuni sketch in cui vengono utilizzate le frasi contenute nella puntata della storia, in modo da aiutarne la comprensione. Quindi chiude la puntata ‘le parole dell’italiano’, la lezione di grammatica tenuta on line da un docente che spiega in modo semplicissimo le regole della gammaticapresenti nella prima puntata.
Grazie mamma RAI,non t’ho mai voluto così bene ! Ascoltiamo tutti e due ed io
Mi limito ad integrare il videocon alcune spiegazioni. Dembaè molto coinvolto, perch’ Salif Ba è arrivato anche lui dal Senega Per gli esercizi scritti di grammatica ho comprato I 5 fascicoli di ‘ il mio Tutto italiano’, edito da Giunti.
Alla fine del mese di gennaio finiamo le 47 unità del corso RAI e I primi 4 fascicoli della Giunti. Demba parla l’italiano molto più correttamente e soprattutto capisce senza probemi sia il parlato che lo scritto.
Siamo pronti per iniziare la seconda tappa del nostro percorso di studio
17 la scuola guida
A febbraio iniziamo lo studio dei segnali stradali, di precedenza, di pericolo, di divieto, di obbligo. Demba si impegna a fondo, ha capito che per trovare un lavoro ha bisogno della patente di guida. Alla fine del mese li riconosce tutti, compresi I pannelli integrativi e gli incroci stradali. Passiamo allora alla parte più difficile della teoria, le norme del codice della strada. Qui le difficoltà aumentano, la terminologia è complicata ( stipulare, sanzioni, massimali, ecc.). Con l’inizio della primavera finiamo anche questa parte . A Sarteano c’è una sede dell’autoscuola di Chiusi, aperta al pomeriggio. Passata la Pasqua, mi presento con Demba. Andrea, responsabile della teoria, appena entriamo, guarda Demba ed esclama: ‘no, non posso iscriverlo, questa è un’autoscuola, non una scuola di italiano, ho già qui 3 ragazze albanesi !’ Devo spiegargli che Demba capisce l’italiano ed ha anche studiato un po’ la materia. Andrea scuote la testa, gli fa qualche domanda, Demba risponde e poi Andrea:’ per ciò che riguarda la teoria meglio che non sappia nulla, gliela insegno io. Le lezioni iniziano alle 15.30, tre volte la settimana, può venire già domani , il corso è iniziato la scorsa settimana’.
Andrea ci consegna I moduli per il pagamento della tassa, e per lavisita medica.
A sera torniamo a casa soddisfatti, brindiamo, io con un prosecchino e Demba con la coca cola.
L’indomani lo accompagno all’autoscuola evado a sedermi su una panchina del parco lì vicino. Dopo un ‘ora Demba ritorna contento. Due ragazze albanesi parlano l’italiano meno di lui. Ha capito quasi tutto quello che Andrea ha spiegato. Mi dice : ‘ fra due settimane iniziamo I test al computer’.
Le lezioni di teoria proseguono bene.Io aspetto sempre ai giardini oppure se il tempo è brutto in un bar della piazza.
Un giorno di fine maggio Demba, finite la lezione, viene correndo e aèèena mi vede, grida: ‘ papà, devo farti vedere una cosa e mi mostra sul cellulare la sua foto davanti a una schermata del computer. L’ha fatta Andrea e m’ha ditto di fartela vedere., altrimenti non ci credi’. Ingrandisco la foto e vedo ‘promosso, zero errori su quaranta del test’
Ci abbracciamo, ormai è pronto pet affrontare l’esame di teoria a Siena in giugno.
Le ultime due settimane Demba ripassa tutti gli argomenti dei quiz, sulla app dell’autoscuola che ha istallato sul cellular. Andrea gli dice :’ ma tu non dormi la notte?’ Ha visto l’ora degli ultimi esercizi registrati dalla app, la 1.30 di note.
Finalmente arriva il grande giorno dell’esame di teoria a Siena. Alle 7 del mattino lo accompagno a Chiusi, dove partono in quattro con Andrea. Iovado in un bar a Chiusi ad aspettare la chiamata da Siena. Ogni tanto faccio quattro passi, sono un po’ agitato. Suona il telefono, è lui, apro la chiamata, ‘sono promosso, ho fatto un solo errore’. Mi commuovo, ‘ ci vediamo alle 12 a Sarteano al solito bar, mi accompagna Andrea’.
Ora Demba hail foglio rosa, può esercitarsi alla guida sulle stradine intorno a casa in montagna. Io siedo al suo fianco. Dobbiamo essere prudenti, io non potrei fare il tutor, avendo ormai 80 anni. Demba farà 10 lezioni di guida con Carlo, in luglio, tre volte alla settimana. Scendiamo allarotomda, all’ingresso di Sarteano alle 8.30 e lo aspetto fino alle 9. La guida presenta le difficoltàdella teoria. A fine luglio Dembaè pronto per l’esame che avrà luogo la prima settimana di settembre.
Il primo agosto facciamo festa, è passato un anno dall’arrivo diDemba a Fonterenza. Andiamo a pranzo dai nostril amici a Pietraporciana.
Ivan ci chuede se Demba può andare a Pietraporciana nei fine settimana di agosto, dormendo lì sabato note. Hanno bisogno di un aiuto in agosto.
Arriva così anche il primo lavoretto.
Ai primi di settembre, Demba supera anche l’esame di guida.
Alla sera accendiamo la televisione. Le partite di calcio hanno la precedenza su tutti gli altri programmi. Anche a me piace il calcio e rinuncio volentieri a qualche film, dato che per Demba il calcio è vita. Dopotutto lo aiuta a dimenticare il grigiore delle giornate autunnali e la fatica dello studio.
E’ iniziato il campionato italiano di serie A, al sabato e alla domenica, stanno per iniziare le partite di Champions e Europa League, dal martedì al giovedì. Io sono tifoso della Juventus, Demba dice di esserlo anche lui ( penso lo faccia per compiacermi), in realtà tifa per il Napoli dove è arrivato dal Senegal il fortissimo difensore Koulibaly.
Prima di ogni partita scommettiamo un caffè su chi vincerà. Uno sceglie la squadra , l’altro ha la seconda scelta, la squadra che resra, ma vince anche in caso di pareggio.
Demba si arrabbia perché quando gioca la Juventus io scelgo sempre l’altra squadra.
‘Se tieni alla Juventus, perché punti sull’altra squadra ?’ mi dice, ed io ‘ se la tua squadra vince brinda con Stock, se perde consolati con Stock ( slogan degli anni ’80)’
Poi gli spiego che sono sempre contento, sia quando la mia squadra vince, sia quando perde ( perchè vincola scommessa). Ma questa logica non lo convince, per lui non esiste puntare contro la propria squadra.
Quando c’è il sole Demba prendeil pallone che tengo in casa e va a correre e palleggiare sul prato, da solo. Io lo guardo, mi pare abbia una buona padronanza della palla, sia da fermo che in corsa.
A Sarteano c’è una squadra di calico, l’Olympic , che milita nel campionato dilettanti del sud della Toscana. Nicola Meloni, figlio di Silvano, Presidente della Readytec ha lavorato con me nell’ufficio di Chiusi per un anno e gioca nell’ Olympic Sarteano.
Gli telefono e gli chiedo se sia possible tesserare Demba per farlo giocare. Mi richiama il giorno dopo, si può fare, devesolo fare la visita medica per il nullaosta a praticare lo sport agonistico.
Una settimana dopo accompagno Demba al campo sportive per un provino. Ci sono molti ragazzi della squadra ad assistere. Demba supera brillantemente la prova . Fa parte della squadra, è il primo ragazzo di colore . Gli allenamenti si tengono 3 volte la settimana, dale 19 alle 21. Io non ho problem ad accompagnarlo, ma non sono in grado di venire a prenderlo, dopo le 21, col buio, per risalire in montagna. E allora scatta spontanes una gara di solidarietà fra I ragazzi, faranno a turno per riaccompagnarlo loro. E’ già benvoluto da tutti. ‘Brava gioventù, perchè ci sono tanti anziani e pochi giovani ?’
Prima di ritornare a casa, quella seradel provino, passiamo al barPegaso, sponsor della squadra, a ritirare la sacca conla tuta.
La domenica seguente c’è la prima partita con la squadra molto forte di Sinalunga.
Finisce in parità e Demba segna il suo primo goal, festeggiato da tutti.
Demba ha molti amici, al sabato sera, quasi una volta al mese,vanno a cena con la squadra. Anche a Sarteano è conosciuto, quando passa in piazza saluta qualcuno, tutti rispondono al suo salute. E’ cambiato tutto, ha fatto passi da gigante sulla via dell’integrazione.
Un altro tema cruciale per tutti gli immigrati sono i documenti. Molti sono scappati dai loro Paesi e sono sbarcati in Sicilia senza documenti o con una sola carta di identità spesso scaduta. Demba quando è partito era ancora minorenne , senza documenti. I permessi di soggiorno temporanei, per motivi umanitari, vengono rilasciati con validità 6 mesi. I rifugiati, emigrati per ragioni di persecuzione politica oppure perchè residenti in zone di guerra hanno diritto a un permesso di più lunga durata, dai 2 ai 5 anni. Trascorsi i primi 6 mesi, bisogna andare all’ufficio immigrazione della prefettura e presentare una domanda di rinnovo. Nel capoluogo di regione siede la Commissione incaricata di vagliare il diritto di ogni migrante a restare in Italia, per motrivi politici o umanitari e, di conseguenza, di ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno. Demba ha già sostenuto l’audizione presso la Commissione a Firenze. La sua richiesta è stata respinta. In questi casi l’avvocato, incaricato dalla Misericordia di Chiusi, presenta un ricorso, in cui vengono illustrati i motivi della richiesta. Nel caso di Demba l’avvocato spiega che Demba ha commesso un reato, ma ha anche già pagato la multa ( 20.000 CFA ossia circa 280 euro), per cui non ha pendenze penali,tuttavia rischia di essere perseguito ugualmente se viene rimandato in Senegal. Io allego al ricorso una dichiarazione in cui affermo che Demba ha ottenuto la Carta di identità dal Comune di Sarteano, è bene integrato, ed ha anche la patente di guida.La seconda audizione ha esito positivo e la concessione dei benefici di immigrato per motivi umanitari arriva dopo due mesi.
Successivamente arriva anche la chiamata, da parte della prefettura di Siena, per il ritiro del permesso di soggiorno di due anni, per motivi umanitari.
Ma Demba vuole avere anche i documenti senegalesi, per poter fare un viaggio in Senegal. E qui le cose si complicano. I funzionari dei consolati e dell’ambasciata del Senegal non vogliono proprio occuparsi di questi giovani compatrioti che hanno bisogno di assistenza. Conosco ragazzi che sono andati più volte a Milano o a Roma, senza mai poter parlare prima per telefono con un incaricato prima di mettersi in viaggio.
Demba andrà 5 volte a Milano prima di riuscire a ottenere il passaporto senegalese e la carta di identità.
Tutto diventa più semplice trovando una persona disponibile sul posto, con qualche mancia da 50 o 100 euro.
A Sarteano hanno concesso senza problemi residenza e carta d’identità ad Demba, ma molti comuni non fanno altrettanto e, senza un documento di identità non si può neppure cercare un lavoro.
Dopo la breve esperienza in agosto a Pietraporciana,ci mettiamo ora alla ricerca di un lavoro.Demba va a trovare Francesco, il proprietario dell’albergo Leonardo, che gli propone di un lavoro alla stazione di Montepulciano. Francesco ha comprato un grande albergo chiuso da parecchi anni, in piena campagna a circa1 km dalla stazione ferroviaria. E’ un albergo a 5 piani con più di 40 stanze, pensa di fare l’ un altro centro di accoglienza, capace di ospitare più di 100 migranti. Tutte le stanze e i bagni vanno puliti a fondo, comprese le scale e i localòi di servizio. Demba dorme li, ogni mattina dall’albergo Leonardo arrivano 3 o 4 ragazzi, in modo da fare una squadra delle pulizie. Hanno portato lì alcuni sacchi di riso e di pasta e tantissimi barattoli di pomodoro. Dopo 2 settimane le pulizie sono finite, Demba resta lì da solo. Siamo all’inizio di novembre, c’è molta umidità, fa freddo. Demba ha la bronchite. Lo vado a prendere e telefono a Francesco per dirgli che le condizioni di lavoro sono inaccettabili: fa freddo. C’è poco da magiare e male, la paga è bassa, per cui Demba non ritorna più a quell’albergo.
Nel frattempo attraverso il passa parola di amici, incontro un imprenditore romano che ha un casale, la Sforzesca, sotto Castiglioncello del Trinoro,in mezzoal bosco. E’ una grande proprietà con oltre 500 ulivi. Un contadino di 84 anni viene ogni giorno da Sarteano per alcune ore, ma si occupa soltanto degli ulivi. Cercano un operaio, disposto a trasferirsi in un capanno accanto al casale .Finalmente un’offerta di lavoro con contratto a tempo determinato di 6 mesi. Alla vigilia di Natale Demba si trasferisce alla Sforzesca. In 12 mq ci sono wc e doccia, il letto, un fornello a gaz, due sedie, un frigorifero e un piccolo televisore e una stufetta elettrica.
L’inverno è duro, le nevicate sono abbondanti, ai lavori di routine si aggiunge la spalatura della neve attornoal casale e sulla strada privata di 500 metri.
Alla sera Demba fa la doccia, accende la stufetta, cucina la pasta e poi guarda la televisione. Ogni giorno. L’anziano contadino, prima sospettoso e diffidente, ora diventato un amico e gli porta al mattino qualche dolcetto. Una volta la settimana Demba può prendere una vecchia automobile per scendere a Sarteanoa fare un po’ di spesa per sé e per comprare iprodotti necessari alla manutenzione del casale e del giardino.
Tremesi dopo ,amarzo,arriva la bolletta della luce. Il consumo è alto.Il proprietari osi arrabbia, la prossima volta dovrà pagarla Demba. A fine maggio gli rinnova il contratto per altri 6 mesi,ma senza alloggio. Demba deve trovare casa a Sarrtano e salire alla Sforzesa gni mattina come fa il contadino. Demba mi chiede consiglio ed io ‘firma il contratto, chiedigli di restare nel capanno finchè non trovi casa,ma tra un paio di mesi ti licenzi e ritorni a Fonterenza. Nel frattempo cerchiamo un lavoro’.
Alla fine di agosto mi chiama Stefano,un amico che sta in un casale in Vald’Orcia. Stefano aiuta molti ragazzi africani. Al frantoio ‘La macina’ di Chianciano cercano un operaio , con contratto di prova a tempo determinato, ma con alloggio. Demba si licenzia, naturalmente il proprietario non vuole lasciarlo andar via da un giorno all’altro, ma è l’unico modo per noi di ‘rendergli pan per focaccia’
Forse Demba c’è in vista un vero lavo
Lunedì 11 settembre alle 9 accompagno Demba al frantoio La Macina. La proprietaria ci spiega ‘l’operaio che abitava nell’appartamento sopra il frantoio, dopo 10 anni, si è licenziato quasi senza preavviso. Fra un mese inizia la stagione dell’olio e abbiamo bisogno di trovare subito un operaio capace di manovrare un elevatore e un trattore.’
Quando lei è assente il lavoro viene coordinato dalla figlia Laura, che lavora lì e vive nell’appartamento al terzo piano sopra il frantoio. Al secondo piano abita la proprietaria con l’altro figlio, Gabriele, che studia alle Capezzine di Cortona.
Demba parla delle sue esperienze con gli ulivi della Sforzesca dove ha appreso molte cose dall’anziano contadino. Per quanto riguarda il brevetto dell’elevatore, c’è un corso di due giorni a Firenze, il 20 e 21 settembre, iscrivo Demba che parte per Firenze il martedì 19. Venerdì 22 Demba ritorna con il brevetto, è pronto per traslocare. Venerdì 29 settembre fa il trasloco e firma il contratto. L’appartamento è composto da una grande sala, una stanza da letto e un bagno. Per Demba è una reggia, rispetto al capanno di prima.
Domenica 1 ottobre Demba fa qualche esercitazione con Gabriele, spostano un po’ di cassette con l’elevatore, da una parte all’altra del magazzino. Lunedì è il primo giorno di lavoro.
Da quando Demba ha lasciato Fonterenza ,alla fine di dicembre, io non riesco più a vivere in quella vecchia grande casa, ci sono troppe scale, è troppo lontna da Sarteano.
Ho affittato un appartamento al pianterreno , in campagna, sulla strada per Chiancino. Siamo dunque abbastanza vicini, poco più di 10 minuti in macchina.
Quando vado a trovarlo lui mi riaccompagna con la mia macchina. Ame non serve sempre , per cui gliela lascio per 1 o 2 giorni.
Dalla seconda settimana di ottobre arrivano al frantoio i primi clienti con il carico di olive. Demba pesa le cassette, registra il peso netto di olive sul quaderno e intrattiene il cliente finchè la proprietaria o Laura non comunicano quando sarà pronto l’olio. Alcuni clienti se ne vanno, altri restano lì ad aspettare.
Assana impara subito a preparare sul braciere a legna la bruschetta che viene offerta
a tutti.
La proprietaria è una persona che sa trattare le persone che lavorano, è ‘ dolcemente severa ed esigente’. Ha uscritto Demba a un cirso di potatura degli ulivi prima e poi anchea un corso di assaggiatore di olio. Dopo il primo mese, pranzano spesso insieme alla figlia..
Per non consumare troppa elettricità, Stefano ha comprato una stufa a pellet, che riscalda tutta la sala, dove Demba ha portato anche il letto. Io gli ho dato un televisore che era a Fonterenza.
Al sabato a mezzogiorno Demba va a Cortona alle Capezzine a prendere Gabriele e lo riaccompagna al lunedì mattina presto. Ogni due mesi Demba invia allo zio i soldi per far studiare il fratello e la sorella.
Sono trascorsi 6 anni da quando è partito ed ora sta pensando di ritornare a casa in febbraio, quando il frantoio chiude.
Demba ha compiuto 21 anni. Lo zio gli scrive che è tempo di pensare a sposarsi.
Come sposa. la famiglia ha scelto una ragazza di un villaggio vicino. Si chiama Adama. Demba non la conosce.
E’ una bella ragazza, Demba mi mostra le foto che ha ricevuto. Ora possono chattare, ma senza video perché la connessione al villaggio è insufficiente.
E’ una svolta nella vita di Demba. La mamma è morta l’anno prima. Il fratello e la sorella studiano, si sentono spesso ma il loro rapporto è quasi da padre a figlio, Demba provvede a tutto quello di cui hanno bisogno, ma prende anche le decisioni che li riguardano. Rispetto alla maggior parte dei loro coetanei sono fortunati, possono studiare.
Con Adama è diverso, parlano del loro futuro.
Il fidanzamento viene fissato per la prima settimana di aprile 2018. Demba ha comprato una mucca. E’ un segnale importante di agiatezza per la famiglia di Adama.
Demba invia a casa 500 euro, circa 300.000 CFA, per le spese del ricevimento e pranzo e per il regalo di fidanzamento. Lui non potrà esserci, ma tutto deve essere fatto secondo la tradizione, nulla deve mancare ai numerosi ospiti. Saranno oltre 100 persone.
Nei giorni che precedono si sentono più volte al giorno per telefono. Alla festa Adama indossa un abito meraviglioso, segue un abbraccio virtuale, via whatsapp.
Demba mi mostra, visibilmente commosso, tutte le foto della festa.
Lo zio telefona spesso ad Demba chiedendogli di fissare la data del matrimonio, che si celebra di solito 6 mesi dopo il fidanzamento. Ma a ottobre inizia la stagione dell’olio, fino a gennaio Demba non può lasciare il frantoio.
Finalmente, a dicembre, Demba prenota il volo Roma Dakar, andata 8 febbraio, ritorno 21 marzo.
Il matrimonio viene fissato per il 20 febbraio.
Demba manda altri 500 euro a casa per le spese del matrimonio. La festa durerà 2 giorni. Bisogna ospitare i parenti della sposa.
Finalmente arriva la data della partenza. E’ la prima volta in aereo, mi manda una foto dalla scaletta dell’imbarco.
Si fermerà a Dakar alcuni giorni. Deve comprare l’abito bianco da sposo e alcuni regali. A Dakar lo aspetta un amico appena rientrato da Sarteano. Genano in una trattoria del porto di Dakar. Nei due giorni successivi faranno gli acquisti per il matrimonio. Poi gli ultimi 700 km in pullman, lungo il fiume Senegal, passando dalla vecchia capitale Saint Louis.
Nella tradizione senegalese la celebrazione del matrimonio dura da 2 a 3 giorni. Alla vigilia della cerimonia c'è il rito per passare dal mondo adolescente al mondo adulto: quello della sposa sarà a carico delle donne e quello sposo, degli uomini.
Verso sera la ragazza arriva con I parenti più stretti al villaggio dello sposo. La preparazione della ragazza inizia con una doccia speciale, poi davanti ad un collegio di donne mature riceve gli ultimi consigli.
Il ragazzo, che ha già ricevuto durante la cerimonia della circoncisione degli insegnamenti, avrà bisogno di pochi consigli. Poi viene accompagnato in una stanza di casa, dove rimane fino al momento della celebrazione.
Il giorno del matrimonio, ogni famiglia comincia la festa presso la propria casa. Nel pomeriggio Adama, accompagnata da un corteo di donne che cantano le lodi della sposa e dei suoi genitori, raggiunge la casa dello sposo dove gli uomini hanno già vestito di bianco Demba e hanno celebrato tra di loro il sacramento del matrimonio.
Gli sposi, Demba e Adama, si incontrano per la prima volta, quando il matrimonio è già stato celebrato. Finalmente si abbracciano. Non virtuamente. Poiincominciala festa,cui partecipano tutti gli invitati arrivati nel frattempo. Si mangia, si balla e sic anta fino a note inoltrata.
Appena arrivato al villaggio, circa una settimana prima della cerimonia, Demba ha completato insieme ad alcuni amici la costruzione di una stanza con I servizi igienici, annessa all’abitazione della famiglia. Abiteranno lì in questo mese e poi , quando Demba rientrerà a Chianciano, vi abiterà Adama, che avrà così un po’ di indipendenza. Demba acquista alter due mucche, Adama le curerà e avrà unpiccolo reddito con il latte che venderà.
Hanno deciso insieme che, per un paio d’anni, Adama resterà lì e Demba verrà un mese all’anno, in febbraio o marzo. Poi decideranno se saràAdama a venire in Italia o Demba a ritornare al villaggio.
In quei giorni di vacanza Demba e Adama vanno a Djaoubè, la cittadina a 15 km, dove Demba da piccolo andava a fare mercato. Qui visitano una casa in mattoni, in vendita. E’ una casa dove bisogna fare un po’ di lavori, con tre locali e il bagno. Il prezzo è veramente basso, 1500 euro , ma il proprietario vuole I soldi subito, in contanti. Demba mi telefona per chiedermi un consiglio. Io gli dico di comprarla subito e gli mando 750 euro.
Il 21 marzo Demba ritorna. E’ un altro uomo. E’ proprietario di una bella casa, I lavori di sistemazione sono già iniziati. Ha già delle idée per un possible futuro a Djaoubè.
Per il momento affitterà la casa per 250 euro all’anno.
Alla fine di aprile arriva la grande notizia, Adama è incinta. Demba corre da me e mi dice: ‘ abbiamo già deciso con Adama, se sarà maschio lo chiameremo Giorgio’.
Quando Demba mi ha lasciato è venuto a stare con me il suo grande amico Demba II Senegalese anche lui, analfabeta. Abbiamo incominciato a studiare l’alfabeto con un set di lettere colorate in plastica. Dopo 3 mesi già andava al supermercato a fare la spesa, contento di saper leggere le etichette. Con lui passavamo molto tempo a cucinare. Dopo 6 mesi è diventato un cuoco provetto , tant’è che un giovane napoletano che aveva conosciuto, quando stave all’albergo Leonardo, me l’ha portato via, offrendogli un posto di aiuto in cucina . Ora ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato con alloggio annesso alla struttura in cui lavora. Ogni lunedì, giorno di libertà, viene a trovarmi.
Ora vive con me un terzo ragazzo senegalese, Salif, di Tambacounda. E’ in Italia da 3 anni. Dopo la traversata del deserto è stato parecchi mesi in prigione a Tripoli nel 2016, prima di approdare in Sicilia. La misericordia di Chiusi l’ha mandato a Sarteano, in una struttura fatiscente, ghiaccia d’inverno e torrida d’estate, dove scarseggiavano il cibo ed i generi di prima necessità. Alcune donne dei casali vicini, impietosite, portano ai ragazzi pane e coperte per la notte. Molti titolari di strutture di accoglienza speculano sulla pelle dei ragazzi che ospitano, spendendo meno di 10 euro al giorno dei 25 euro netti che ricevono per ogni ospite dall’ente delegato dalla Prefettura a selezionare e controllare i centri di accoglienza. La mia nuova casa in via di Chianciano si trova vicino a questa struttura.
I miei due ‘Demba boys’ lo conoscono, giocano spesso a pallone. Mi consigliano di prendere lui. Gli propongo un contratto a tempo indeterminate con vitto e alloggio.
Oltre a questi tre ragazzi ho conosciuto molti altri loro amici del Senegal, del Mali, della Costa d’Avorio. Sono ragazzi straordinari. A casa lascio sul mio tavolo da lavoro, il portafoglio, tutti I documenti. La porta di casa è sempre aperta, possono entrare e uscie quando vogliono, anche quando io sono in giardino a leggere.
Con loro la mia vita di pensionato ottantenne è cambiata, ho ritrovato uno scopo.
L’Africa ci appare oggi con i volti dei giovani migranti, che hanno rischiato la vita sui barconi attraverso il Mediterraneo, dopo aver sofferto tanti soprusi in Libia, e sono approdati in Italia per essere confinati nei Centri di accoglienza . Sono scappati dalla miseria e dalle guerre ma mantengono sempre un sorriso dolce, che ti commuove. Siamo così indotti a pensare ad un continente dove è difficile vivere, con un futuro problematico. Ma sono i due secoli passati, ‘800 e ‘900, che pesano ancora oggi sull’Africa. Due secoli di colonialismo, in cui Francia e Inghilterra, e, in misura minore, Germania, Portogallo e Italia hanno dominato l’intero continente, sfruttando le sue ricchezze e concentrando lo sviluppo economico sull’ attività mineraria e la produzione agricola.
Quasi tutti i 54 Stati dell’Africa hanno raggiunto l’indipendenza da poco più di 50 anni. Approfittando dell’influenza acquisita durante l’era coloniale, i Paesi europei hanno assecondato in molti Paesi la formazione di regimi presidenziali de iure, ma dittatoriali de facto, per proseguire nel controllo delle principali risorse economiche. Non sempre la cooperazione internazionale ha svolto un ruolo di incentivazione di progetti di sviluppo indipendenti. Ciononostante, soprattutto negli ultimi 20 anni, molti Paesi hanno cercato di sottrarsi al diktat dei mercati internazionali, prestando maggiore attenzione ai consumi interni e avviando processi di sviluppo incoraggianti. Oggi il tasso di sviluppo della maggior parte dei Paesi africani è superiore a quello dei Paesi europei. Pur fra tante contraddizioni l’Africa si è messa in marcia.
I ragazzi africani si conquistano con sacrifici e sofferenze un posto al sole in Italia e inviano valuta pregiata nei loro Paesi. Questa gioventù è una risorsa vincente per l’Africa di domani.